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24/06/2025 ore 08.13
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Le 48 ore più pazze di Trump: entra in guerra, minaccia Teheran, poi firma la pace via social

Dopo l’attacco iraniano alla base americana in Qatar e le minacce di regime change, il presidente USA annuncia la fine del conflitto via Truth Social

di Luca Arnaù
In this photo released by the White House on X President Donald J. Trump is seen in The Situation Room along with Vice President JD Vance, Secretary of Defense Pete Hegseth, Secretary of State Marco Rubio, Chairman of the Joint Chiefs of Staff Gen. Dan Caine, and White House chief of staff Susie Wiles in Washington DC on June 21, 2025. The US struck 3 nuclear facilities (Fordow, Natanz and Isfahan) in Iran on June 21, 2025. (Photo by White House via Sipa USA)

Dove una volta c’erano le cancellerie e i colloqui segreti, ora ci sono i post su Truth Social. È lì che Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, ha orchestrato uno dei più bizzarri e potenzialmente pericolosi giri di
valzer della diplomazia internazionale
: l’appoggio alla guerra di Israele, una minaccia di regime change in Iran, una ritorsione missilistica contro una base americana, uno scambio velenoso con la stampa e, infine, un annuncio trionfale di cessate il fuoco tra Iran e Israele. Tutto nell’arco di 48 ore.

Anche ieri la giornata era cominciata con una raffica di post bellicosi. Trump, già irritato dalla narrazione “pessimista” della stampa americana sugli attacchi israeliani ai siti nucleari iraniani, rispolvera lo slogan “MIGA – Make Iran Great Again”, evocando un possibile cambio di regime a Teheran. “Se il regime attuale non è capace di rendere l’Iran grande, perché non dovrebbe esserci un cambiamento?”, scrive con tono provocatorio. Un tweet che manda in subbuglio il Dipartimento di Stato e costringe la portavoce Karoline Leavitt a precisare che si tratta solo di “una riflessione personale del presidente”.

Poche ore dopo, arriva la risposta dell’Iran: 14 missili balistici diretti contro la base americana Al Udeid, in Qatar, sede del comando centrale USA per il Medio Oriente. Tutti i razzi, salvo uno, vengono intercettati.
Nessuna vittima. Trump, per nulla scosso, ne approfitta per rivendicare l’efficacia della risposta americana e rilanciare l’idea che gli iraniani, dopo aver “sfogato la loro rabbia”, siano pronti al dialogo.

Poi, l’annuncio a sorpresa. Con un post delle 18 (ora di Washington), il presidente dichiara che Iran e Israele hanno accettato un cessate il fuoco totale, che scatterà nel giro di 24 ore e metterà fine alla “guerra dei 12
giorni”. Una guerra di cui nessun diplomatico internazionale ha visto trattative, né sentito conferme ufficiali. “Una vittoria per la pace”, la definisce Trump, ringraziando entrambi i Paesi e concludendo con una litania benedetta: “Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran, Dio benedica gli Stati Uniti d’America”.

Ma cosa c’è davvero dietro questo teatrino mediatico? In molti si chiedono se si tratti di una reale de- escalation o di un’operazione di propaganda confezionata per rilanciare l’immagine del presidente a pochi mesi dalle elezioni. Il sospetto non è infondato: mentre Trump si congratulava con se stesso per aver evitato una guerra, a Gerusalemme il governo israeliano restava in silenzio. E da Teheran nessuna fonte ufficiale ha confermato l’accordo.
Il Consiglio di sicurezza nazionale americano, riunitosi nel pomeriggio, avrebbe espresso forti perplessità sull’opportunità di diffondere notizie di tregua senza una base concreta di negoziato. Ma Trump sembra determinato a riscrivere la geopolitica con i mezzi della sua campagna elettorale: slogan, social e dichiarazioni roboanti.

Al centro di tutto, una verità scomoda: il Medio Oriente resta una polveriera. La guerra tra Israele e Iran, cominciata dopo un raid israeliano che ha colpito siti nucleari sensibili come Fordow e Natanz, è stata solo l’ultimo tassello di una tensione che ribolle da anni. E la gestione impulsiva di un leader che preferisce i like agli equilibri rischia di gettare benzina su un fuoco che arde da decenni.

La “pace via social” annunciata da Trump potrebbe dunque essere solo una tregua mediatica. Una pausa utile per scrollarsi di dosso le critiche, rassicurare l’elettorato interno e, magari, intestarsi una vittoria
diplomatica che ancora non esiste
. Ma in assenza di conferme, resta il dubbio: chi sta davvero trattando con chi? E, soprattutto, chi decide oggi la pace e la guerra? Una cosa è certa: mai come ora, bastano 280 caratteri per accendere (o spegnere) un conflitto.