“L’importante è finire”, la canzone scandalosa che fece tremare la Rai e consacrò Mina come icona di libertà
Nel 1975 la Tigre di Cremona canta il desiderio femminile senza filtri. Il testo è di Cristiano Malgioglio, l’arrangiamento di Pino Presti. Ma alla Tv di Stato non va giù e la censura scatta. A distanza di 50 anni, quella canzone resta un inno alla libertà di essere, di amare, di scegliere
Nel 1975 Mina era già un mito. Ma con L’importante è finire, la Tigre di Cremona scelse di graffiare davvero. Di far saltare ogni ipocrisia, ogni patto tacito tra cantante e società perbene. Di dire, senza veli e senza scuse, quello che fino a quel momento nessuna donna aveva mai cantato in prima serata: che a volte l’amore finisce, ma il desiderio no. Che si può decidere di lasciare un uomo… domani. Dopo.
Una bomba a orologeria, piazzata al centro del salotto buono italiano.
Il testo, scritto da un giovane e ispiratissimo Cristiano Malgioglio, è già di per sé audace. Ma è l’interpretazione che ne fa Mina a renderlo esplosivo. Sussurra, sospira, accarezza ogni parola come fosse pelle. Non canta una canzone: la vive. La trasforma in una confessione erotica senza mai essere volgare, in un monologo interiore che rivela molto più di quanto dica.
«Spegne adagio la luce, la sua bocca sul collo, ha il respiro un po’ caldo, ho deciso lo mollo… ma non so se poi farlo o lasciarlo soffrire. L’importante è finire».
Quando questa frase arriva nei salotti italiani, è il panico.
La Rai, che pure aveva autorizzato inizialmente la trasmissione, ci ripensa. La canzone è oscena, gridano i benpensanti. E in effetti qualcosa di scandaloso c’è: non sono le parole, non è la musica. È il fatto che a parlare, per una volta, sia una donna. E parla di sesso. Del suo piacere. Della sua libertà di scegliere.
Nell’Italia che solo un anno prima aveva detto sì al divorzio, e in cui le sale sbancano con i film sexy di Gloria Guida e Edwige Fenech, si finge modernità, ma si resta profondamente spaventati da una donna che prende la parola.
In radio, L’importante è finire viene censurata dalla “Hit Parade”, programma allora seguito da milioni di italiani. Quando finalmente viene mandata in onda, il conduttore la sfuma con battute e commenti ironici per coprirne i passaggi più “compromettenti”.
In tv va anche peggio.
L’esibizione registrata per il programma “Adesso musica”, in cui Mina canta il brano in un vestito attillato e con uno sguardo che sembra sfidare ogni censore, viene completamente cancellata a poche ore dalla messa in onda. Niente avvisi, niente spiegazioni. Solo forbici e silenzio. La Rai, impaurita dalle polemiche e dalle pressioni, decide che Mina deve sparire dal video.
E lei, giustamente, s’infuria.
Rifugiata nella sua villa di Lugano, rifiuta ogni proposta di modifica al testo. «La canzone resta così com’è», fa sapere. È troppo orgogliosa – e troppo avanti – per piegarsi al compromesso. E ha ragione: il pubblico la ama. Il disco scala le classifiche a velocità vertiginosa, raggiunge la seconda posizione e rimane in top ten per 35 settimane.
Il paroliere, all’epoca ancora poco conosciuto, è un giovane di origini siciliane cresciuto tra l’Australia e Genova: si chiama Cristiano Malgioglio. La censura lo sorprende e lo indigna. «Non sono un paroliere sexy», dichiara. «Scrivo di rabbia, solitudine, amore. Non pornografia». Il brano era stato pensato per Brigitte Bardot, ma Mina ne rimase folgorata e lo volle a tutti i costi. E fece bene.
Quello che successe dopo lo sappiamo. Mina, col tempo, decise di abbandonare la televisione, stanca dei limiti, delle ipocrisie, degli attacchi. Non smise mai di cantare, ma lo fece da lontano, secondo le sue regole. L’importante è finire fu forse la goccia che fece traboccare il vaso, ma anche la scintilla che sancì la sua trasformazione da icona pop a leggenda assoluta.
E oggi?
Oggi L’importante è finire è un classico. Le parole di Malgioglio non fanno più scandalo. O forse sì, ma in modo diverso. Commuovono. Commuove quella donna che sa già che tutto sta per finire, ma che si concede ancora un respiro, una carezza, un’ultima ondata di piacere prima di voltare pagina.
Cinquanta anni dopo, quella canzone resta un inno alla libertà. Alla libertà di scegliere il proprio corpo, di vivere il sesso non come colpa ma come esperienza. Alla libertà di dire: «Ti lascio, ma non adesso». Perché, in fondo, l’importante è finire. E decidere da sole quando farlo.