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21/08/2025 ore 06.30
Italia Mondo

L’Italia buen retiro dei super-ricchi (e la classe media paga il conto)

Con la flat tax da 200 mila euro introdotta nel 2017, l’Italia è diventata un paradiso fiscale mascherato per miliardari in fuga da Svizzera e dintorni. Ex banchieri di Ginevra, piloti di Formula 1 e magnati internazionali scelgono Milano, Roma e Como per rifugiarsi sotto il sole tricolore

di Luca Arnaù

Chi l’avrebbe mai detto: l’Italia, Paese storicamente allergico a qualsiasi riforma fiscale seria, è riuscita a inventarsi una misura che piace solo a chi ha conti milionari. È la flat tax da 200 mila euro, introdotta nel 2017 dal governo Renzi, che permette ai super-ricchi di trasferirsi qui pagando un’imposta fissa annuale, indipendentemente dai guadagni realizzati all’estero. Aggiungendo 25 mila euro per ogni familiare a carico, ecco pronto il pacchetto che ha trasformato il Belpaese in un rifugio dorato.

Per i miliardari è un affare clamoroso. Per la classe media italiana, invece, è l’ennesima beffa: stipendi fermi, tasse salate e mutui in salita, mentre gli stranieri con il jet privato possono vivere tra Milano e il lago di Como spendendo meno che a Ginevra.

Gli ultimi a fare le valigie sono due ex manager della banca svizzera Pictet: Renaud de Planta e Bertrand Demole. La loro decisione di mollare la Svizzera per trasferirsi in Italia ha fatto rumore oltreconfine. Due nomi pesanti della finanza che, senza la flat tax, avrebbero continuato a versare cifre astronomiche al fisco elvetico.

E non sono soli. Tra i nuovi “italiani per convenienza” ci sono il pilota di Formula 1 Lewis Hamilton, fresco di villa a Milano, e l’imprenditore egiziano Nassef Sawiris, uno degli uomini più ricchi del pianeta con un patrimonio vicino ai 9 miliardi di euro. Poi ancora Elio Leoni-Sceti, Bart Becht e Fersen Lambranho, manager globali che hanno scelto il nostro Paese come buen retiro fiscale.

Secondo l’Henley Private Wealth Migration Report 2025, l’Italia potrebbe accogliere 3.600 nuovi milionari entro l’anno. Un flusso imponente, anche se in calo rispetto alle previsioni di 5 mila. Comunque abbastanza per trasformare interi quartieri. Milano, Roma e Como sono ormai colonizzate: in certe zone del capoluogo lombardo si superano i 34 mila euro al metro quadro, e le famiglie italiane normali non possono nemmeno permettersi di affacciarsi all’agenzia immobiliare.

Mentre qui i paperoni stappano champagne nelle terrazze di Brera, la Svizzera si rode il fegato. A Ginevra si parla apertamente di “fuga di cervelli (e portafogli)”. Gli oppositori della misura temono di perdere contribuenti che per decenni hanno riempito le casse federali. Un effetto domino che riguarda anche Zurigo e Zugo, dove banche e consulenti iniziano a contare i clienti che preferiscono l’Italia.

Certo, a guardarla con l’occhio di un ministro dell’Economia, la flat tax porta vantaggi immediati: ricchi che spendono, investono, assumono personale di servizio, ristrutturano palazzi storici. Ma i nodi vengono al pettine quando si allarga l’obiettivo. Per ogni miliardario che compra una villa a Como, ci sono dieci famiglie italiane costrette a emigrare in periferia perché il prezzo degli affitti è esploso. Per ogni manager che si gode la cena stellata a Milano, ci sono ristoratori di provincia che chiudono perché la clientela media non ha più soldi.

«Lo sviluppo di spazioporti fiscali di questo tipo è essenziale per attrarre ricchezza», dicono i sostenitori, copiando la retorica di chi giustifica qualsiasi privilegio. Ma il problema resta: se i super-ricchi pagano un forfait ridicolo rispetto ai patrimoni, a chi resta sulle spalle il vero peso del welfare? La risposta è fin troppo scontata: la classe media italiana, spremuta fino all’osso.

L’Italia, nel frattempo, si gode la vetrina internazionale: i super-ricchi fanno notizia, comprano castelli, sponsorizzano mostre, si lasciano fotografare in barca. Ma sotto la superficie, il rischio è di diventare una Disneyland fiscale, con biglietto d’ingresso riservato ai miliardari e uscita obbligata per i cittadini normali. Alla faccia dell’equità.