Sezioni
Edizioni locali
27/09/2025 ore 19.58
Italia Mondo

Netanyahu riceve ancora armi dall’Italia? L’Istat svela lo stop di Crosetto, ma i contratti si sono chiusi di recente

Dopo mesi di polemiche e interrogazioni parlamentari, i numeri ufficiali confermano le parole del ministro della Difesa. Restano attivi solo i flussi di importazione da Israele verso l’Italia: nel 2025 oltre 22 milioni di euro

di Luca Arnaù

Da mesi circolava la domanda, sussurrata nei corridoi della politica e amplificata dalle associazioni pacifiste: l’Italia esporta ancora armi in Israele? Ora i dati ufficiali dell’Istat, aggiornati al primo semestre 2025, sembrano fornire la risposta più netta finora disponibile: no, le nuove autorizzazioni si sono fermate, e anche i vecchi contratti sono ormai prossimi all’esaurimento.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto lo aveva annunciato lo scorso autunno, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la conseguente offensiva israeliana su Gaza: «Da quel momento non è stata più concessa alcuna licenza di esportazione di armamenti verso Israele».
Un’affermazione che, all’epoca, era stata accolta con scetticismo da parte delle opposizioni e delle organizzazioni per i diritti umani, che chiedevano prove concrete dello stop.

«Inaccettabile circolare dell’Atp di Cosenza che chiede alle scuole di segnalare azioni pro Palestina»

Le prove ora ci sono. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Istat, alla voce numero 93 della tabella sull’export – armi, munizioni e loro parti – le esportazioni italiane verso Israele risultano pari a zero euro nei mesi di aprile e giugno 2025. Solo a maggio si registra un’ultima, simbolica consegna: 29.702 euro in materiali militari residui, probabilmente legati a commesse precedenti.
È la conferma che l’Italia ha progressivamente svuotato i canali commerciali aperti prima della guerra.

La sospensione delle nuove licenze, infatti, non ha potuto interrompere i contratti già firmati in passato: la normativa italiana – la legge 185 del 1990 – consente di completare le forniture autorizzate prima di un eventuale stop politico.
Per questo motivo, anche nei mesi successivi all’esplosione del conflitto, alcune partite di materiali bellici hanno continuato a partire. Dall’autunno 2024 in poi, però, i flussi si sono ridotti fino a quasi azzerarsi.

Il quadro diventa più chiaro se si osservano i dati complessivi: nel periodo luglio 2024 – giugno 2025 l’Italia ha esportato in Israele armamenti per 579.099 euro e ne ha importati per 35,9 milioni.
Un saldo completamente invertito rispetto agli anni precedenti, in cui Roma era tra i fornitori minori ma costanti dell’industria bellica israeliana.

Nel solo primo semestre 2025, le esportazioni italiane ammontano a 227 mila euro, mentre le importazioni raggiungono i 22,9 milioni.
Il dato di gennaio – 21,79 milioni – corrisponde quasi interamente a un’unica fornitura di componenti elettronici e munizionamento avanzato, acquistati dalle nostre Forze Armate.

Israele resta infatti un importante fornitore per la difesa italiana, soprattutto nel campo delle tecnologie di sorveglianza, dei droni tattici e dei sistemi di puntamento.

L’appello (respinto) di Mattarella alla Flotilla: «Accolga la mediazione del Patriarcato Latino». La portavoce rientra in Italia

Nel 2022 l’Italia aveva siglato un’intesa per la cooperazione industriale tra Leonardo e Rafael Advanced Defense Systems, che non rientra nelle restrizioni attuali poiché riguarda produzioni congiunte sul territorio italiano e non esportazioni dirette.

Dal punto di vista normativo, il blocco proclamato da Crosetto si applica sia alle armi di categoria militare sia ai beni dual use, cioè materiali e tecnologie con possibili applicazioni civili e belliche.
La lista Istat comprende voci che spaziano dalle pistole mitragliatrici alle armi da fuoco per uso sportivo, dalle munizioni ai componenti per fucili, fino a «sciabole, spade, baionette e lance» di uso collezionistico o cerimoniale.

A Palazzo Chigi, il dossier resta seguito con particolare attenzione. Giorgia Meloni, che nei mesi scorsi ha ricevuto Benjamin Netanyahu a Roma e a Bruxelles, ha sempre evitato toni polemici, ribadendo tuttavia la “piena osservanza delle norme internazionali e della legge italiana sul commercio di armi”.
Fonti governative sottolineano che «non c’è nessuna violazione in corso» e che l’Italia «è tra i Paesi europei più rigorosi nel rispetto dei limiti imposti dal diritto umanitario».

Le opposizioni mantengono però una posizione critica.
Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana) ha ricordato che «la vera coerenza si misura non con gli annunci ma con la trasparenza: sarebbe utile pubblicare l’elenco completo dei contratti ancora attivi e dei materiali esportati negli ultimi due anni».

Una preghiera per Gaza a Cosenza, cinquecento persone nella chiesa di San Nicola

Anche le organizzazioni pacifiste, da Rete Disarmo ad Amnesty International, chiedono che lo stop diventi “totale e definitivo”, esteso anche alle collaborazioni industriali indirette.

L’Italia, intanto, continua a trovarsi in una posizione intermedia: alleata storica di Israele, ma anche membro dell’Unione Europea che chiede “moderazione” a Tel Aviv dopo ogni escalation militare a Gaza.
Il ministero della Difesa assicura che lo stop resterà in vigore «fino al ritorno di condizioni di pace duratura e di rispetto del diritto internazionale umanitario».

Una formula diplomatica che lascia aperti molti scenari, ma che trova ora un riscontro concreto nei numeri.
E, per una volta, i numeri dicono più delle parole: da aprile 2025, nessuna arma italiana è più partita per Israele.