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08/11/2025 ore 14.56
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Il nuovo sindaco Mamdani sfida Trump: «Giù le mani da New York». E prepara 200 avvocati per difendere la Grande Mela

Il 34enne di origini ugandesi lancia un’agenda progressista: autobus gratuiti, affitti congelati, asili gratis fino ai 5 anni. Promette collaborazione, ma avverte che è pronto a fronteggiare la Casa Bianca se questa cercherà di colpire i newyorkesi

di Luca Arnaù

Ha solo 34 anni, parla come un attivista e si muove come un capo di Stato. Zohran Mamdani, nuovo sindaco di New York, ha vinto contro ogni pronostico. E già dal giorno dopo ha cominciato a dettare la sua linea: inclusiva, progressista e profondamente newyorkese. La prima mossa è arrivata subito: una squadra di transizione guidata da donne. Un segnale politico e simbolico allo stesso tempo, nella città più complessa d’America, con un bilancio da 115 miliardi di dollari e oltre 300mila dipendenti municipali.

A capo del team, Mamdani ha voluto nomi forti e riconosciuti: Lina Khan, ex presidente della Federal Trade Commission sotto l’amministrazione Biden; Maria Torres Springer, ex vicesindaca di Eric Adams; Grace Bonilla, già nell’amministrazione Bloomberg; e Melanie Hartzog, vicesindaca alla Sanità ai tempi di Bill de Blasio. Una formazione esperta, pensata per coniugare esperienza istituzionale e slancio riformista.

Zohran Mamdani, il nuovo volto di New York: la rivoluzione gentile della città che non dorme mai

«Voglio una squadra che risolva vecchi problemi con nuove soluzioni», ha detto Mamdani nella sua prima conferenza stampa. E le sue “nuove soluzioni” hanno già acceso il dibattito. Il neo-sindaco ha promesso autobus gratuiti, asili nido gratuiti fino ai cinque anni e congelamento degli affitti per due milioni di cittadini. Misure ambiziose, da 7 miliardi di dollari l’anno, che intende finanziare con una tassa del 2% sui redditi superiori al milione di dollari.

Un programma che piace ai movimenti sociali ma spaventa Wall Street. Eppure, persino alcuni miliardari hanno scelto di tendere la mano. Il finanziere Bill Ackman si è congratulato e ha offerto collaborazione, pur avendo sostenuto il rivale Andrew Cuomo. Anche Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, ha fatto sapere di avergli «lasciato un messaggio in segreteria».

Mamdani, nato nel Queens da una famiglia di rifugiati ugandesi di origini indiane, rappresenta una nuova generazione politica: cosmopolita, digitalmente fluida e lontana dagli schemi tradizionali dei democratici. E proprio per questo, sa di essere sotto la lente. «C’è chi mi osserva con scetticismo — ha detto — ma New York è sempre stata la città dove si possono riscrivere le regole».

Per ora ha confermato Jessica Tisch come capo della polizia, scelta che rassicura i leader moderati e la governatrice democratica Kathy Hochul, che gli ha dato il proprio endorsement. Ma sul fronte federale la partita si annuncia ben più dura.

Perché Zohran Mamdani non potrà mai diventare presidente degli Stati Uniti

Il rapporto tra Mamdani e Donald Trump, presidente in carica, è già al centro dell’attenzione nazionale. La notte della vittoria, dal palco di Brooklyn, il neo-sindaco ha mandato un messaggio in diretta alla Casa Bianca: «Presidente Trump, alzi pure il volume: giù le mani da New York».

La risposta non si è fatta attendere. «Dire che devo alzare il volume è una cosa pericolosa per lui — ha detto Trump a Fox News —. Deve essere più rispettoso con Washington, altrimenti non avrà successo. Io voglio che la città ce la faccia, ma deve tendere la mano». Poi, con la consueta teatralità, ha aggiunto: «È un comunista. E anche un po’ pazzo. Ma meno bello di me».

Dietro le battute, tuttavia, c’è anche un riconoscimento implicito. Secondo fonti del New York Times, Trump in privato lo descrive come «un politico di talento e un abile comunicatore». Forse perché, al di là delle distanze ideologiche, i due hanno più in comune di quanto appaia: entrambi outsider, entrambi newyorkesi doc, entrambi capaci di parlare direttamente ai cittadini bypassando i partiti.

Mamdani, dal canto suo, ha risposto con una calma calcolata: «Lavorerò con il presidente se vorrà collaborare per mantenere le sue promesse sul costo della vita. Ma se proverà a colpire questa città, la difenderò passo dopo passo».

Un avvertimento che non è soltanto retorico. Il sindaco ha già formato una squadra legale di 200 avvocati pronta a reagire a eventuali decisioni federali che danneggino New York, in particolare su fondi, immigrazione e tutela ambientale.

Trump, dal canto suo, avrebbe minacciato di trattenere i finanziamenti federali destinati alla città, come già aveva tentato di fare in passato con altre amministrazioni democratiche. Ma i tribunali avevano bloccato le sue iniziative, ricordandogli che i fondi approvati dal Congresso non possono essere revocati per motivi politici.

Nonostante le tensioni, entrambi sanno che i loro destini sono in parte intrecciati. Trump possiede ancora diversi immobili a Manhattan e ha un interesse diretto nel successo economico della città. Molti consiglieri lo invitano alla prudenza: «Distruggere New York – dicono – non conviene a nessuno, nemmeno a lui».

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Intanto, l’America guarda con curiosità alla meteora Mamdani. Per i repubblicani, la sua vittoria è un assist perfetto: «Il Partito Democratico è in mano agli estremisti», ripete la destra mediatica. Ma per Steve Bannon, ex stratega di Trump, il fenomeno è più complesso: «È il segno che anche a sinistra il populismo è diventato un motore. Mamdani parla alla stessa rabbia che ha portato Trump al potere. È il suo specchio rovesciato».

Forse ha ragione. Perché, nella città che non dorme mai, anche la politica sembra tornata a essere teatro. E Zohran Mamdani, il “sindaco socialista”, ha appena iniziato il suo primo atto: sfidare il presidente degli Stati Uniti, difendendo New York come se fosse — ancora una volta — un mondo a sé.