Milano: così i carabinieri hanno fermato Vincenzo Lanni, l’uomo che ha colpito alle spalle la manager di Gae Aulenti
Dieci anni fa disse ai magistrati: «Se non mi fermate, ucciderò delle donne». È uscito dalla comunità giovedì, ha vagato per la città con un coltello e ha colpito di nuovo. A tradirlo: la sorella gemella, una borsa fluorescente e le telecamere
Nella stanza 106 di un piccolo albergo di via Vitruvio, a due passi dai binari della Stazione Centrale, le luci della città non arrivavano. Una serranda abbassata, un televisore acceso senza volume, una giacca ripiegata con cura maniacale sul letto. Non c’era molto altro quando i carabinieri hanno fatto irruzione: solo Vincenzo Lanni, seduto, immobile, lo sguardo perso nel vuoto. Non ha chiesto perché. Non ha tentato di scappare. Non ha pronunciato una parola. Sembrava aspettare quel momento.
Più di dieci ore di caccia in città, un’indagine corsa contro il tempo, e poi la telefonata che ha cambiato tutto: quella della sorella gemella. «È lui. Riconosco quel modo di camminare. Riconosco tutto.» Aveva visto le immagini diffuse dalla procura poco prima. Non ha esitato. E la macchina dell’Arma si è mossa con precisione chirurgica.
Perché Lanni, secondo chi lo ha studiato in passato, non è un uomo che scappa in preda al panico. È un predatore silenzioso. Ragiona, osserva, sceglie. E quando colpisce, lo fa nel modo più invisibile possibile: alle spalle, senza una parola, senza un segnale, senza un legame.
Era già successo. Bergamo, estate 2015. Due pensionati accoltellati senza motivo. Lui, all’epoca 49enne, confessa ai magistrati di aver scelto a caso e di aver agito perché la sua vita gli sembrava «un fallimento». Aggiunge un dettaglio che oggi pesa come piombo: «Se non mi aveste fermato, avrei ucciso delle donne.» Una frase che allora sembrava la dichiarazione disperata di una mente instabile. Oggi suona come un avvertimento inascoltato.
Diagnosi: disturbo schizoide di personalità. Condanna: otto anni e tre di misura di sicurezza in struttura psichiatrica. Poi un percorso in comunità. Infine, la decisione che ha cambiato tutto: giovedì, quattro giorni prima dell’aggressione in piazza Gae Aulenti, l’allontanamento dalla struttura Exodus nel Varesotto. Motivo: comportamenti «pericolosi e incompatibili con le regole». Un campanello che ha suonato, ma non abbastanza forte da fermare la spirale.
Da quel momento Lanni ha camminato ai margini della città come un’ombra. Ha preso una stanza in un albergo economico. Ha girato con uno zaino, una borsa della spesa fosforescente e un coltello da cucina lungo più di venticinque centimetri. La stessa arma che, nel cuore del quartiere simbolo del nuovo skyline milanese, ha conficcato nella schiena della manager di 43 anni. Nessun dialogo. Nessun litigio. Nessun movente. Solo un gesto glaciale.
La donna, che stava andando al lavoro, non ha avuto il tempo di voltarsi. La lama ha lacerato milza e polmone. Ora giace in rianimazione al Niguarda. È sveglia, ma ciò che è successo lascerà segni che non si vedono al primo sguardo. La sua vita — come quella di chi ogni mattina cammina in quella piazza, tra uffici luccicanti e vetrate di banche — si è incrinata in un istante.
Milano, che si racconta metropoli europea, efficiente e sicura, si è ritrovata di fronte a una domanda terribile: come si ferma chi non ha movente? Come si controlla chi sceglie la violenza come risposta al proprio abisso privato?
I carabinieri hanno lavorato come in una caccia a un francotiratore urbano: immagini video, pattugliamenti, alberghi passati al setaccio, una città osservata dall’alto e dal basso. E alla fine una donna — non una telecamera — ha riconosciuto il fratello. Nella tragedia, un atto di responsabilità civile che ha evitato che qualcuno, domani, potesse raccontare un’altra aggressione «inspiegabile».
Ora si riapre un dossier scomodo. Quello delle misure psichiatriche alternative, dei percorsi di reinserimento, delle comunità che non hanno gli strumenti per trattenere chi è giudicato socialmente pericoloso. E soprattutto quello del confine fragile tra malattia e responsabilità, tra diritto alla cura e diritto alla sicurezza.
Nelle ore in cui la città lentamente si spegneva, nella hall dell’hotel di via Vitruvio il via vai silenzioso dei carabinieri ha messo fine a una tensione che correva sotto pelle da ore. La borsa fluorescente, i vestiti, tutto ciò che ha fatto riconoscere quell’uomo nelle immagini della mattinata era lì, esattamente dove li aveva lasciati. Come se nulla fosse accaduto. Come se il giorno dopo sarebbe stato un giorno qualunque.
Ma nulla, da lunedì, è ordinario a Milano. E chi ieri attraversava piazza Gae Aulenti guardava automaticamente dietro di sé. Non per paranoia. Per prudenza. Il mostro non abita solo le periferie della cronaca. A volte prende la metro, cammina tra i grattacieli e dorme in una stanza d’albergo qualunque, aspettando il momento di farsi presente. E non urla. Non minaccia. Non avvisa. Arriva. Colpisce. Scompare. Finché qualcuno non lo ferma con una telefonata. Una sorella che dice: «È lui. Fermatelo».