Sezioni
Edizioni locali
23/08/2025 ore 07.25
Italia Mondo

Mina, la notte dell’addio: il concerto che cambiò per sempre la musica italiana

Il 23 agosto 1978, alla Bussoladomani di Lido di Camaiore, la “Tigre di Cremona” cantò per l’ultima volta dal vivo. Aveva 38 anni, due figli e una carriera già leggendaria. Davanti a un pubblico ignaro, scelse di sparire dalla scena live, rinunciando alla fama per difendere la propria libertà

di Luca Arnaù

L’aria di fine estate aveva il sapore salmastro della Versilia e un caldo umido che faceva brillare le luci del teatro tenda Bussoladomani. Era un mercoledì sera, 23 agosto 1978, e a Lido di Camaiore i posti erano esauriti. Fan, curiosi, turisti di passaggio: tutti pronti a vedere la donna più famosa d’Italia, la voce che da vent’anni stregava il Paese. Nessuno, nemmeno i musicisti sul palco, poteva immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta.

Mina Anna Mazzini, 38 anni, due figli – Massimiliano e Benedetta – non amava l’idea di cantare in pubblico. «Io non sono nata per cantare. Non ci crede nessuno quando lo dico, ma se c’è una cosa che non mi va di fare è cantare. In pubblico, voglio dire. Non sono mai stata emozionata dall’applauso. Sono timida», aveva confessato a un cronista. Lo avrebbe ripetuto anche anni dopo, quando ormai il suo addio era diventato leggenda.

La Bussoladomani era un tempio estivo della musica e quella sera il programma prevedeva quindici concerti fino a settembre. Mina viveva già a Lugano, dirigeva la sua casa discografica PDU fondata con il padre e si muoveva con una band di quattordici elementi guidata da Pino Presti, bassista, arrangiatore e direttore d’orchestra. Il cachet era di venti milioni a serata, l’apertura affidata ogni sera a un comico diverso: Walter Chiari, Gino Bramieri o il giovane trio La Smorfia di Troisi, Arena e Decaro. Le prenotazioni arrivavano da mezzo mondo.

Dietro le quinte, però, Mina era nervosa. Come ricorderà il figlio Massimiliano, presente tra il pubblico, sua madre mascherava l’ansia con un controllo impeccabile della scena, ma dentro combatteva un “trauma sempre più grande e insuperabile”. «A vent’anni ero un’altra donna. Oggi non ricomincerei. Magari sceglierei sempre un’attività artistica, ma nella quale non ci si debba esibire», avrebbe detto in seguito.

La serata scivolò tra “Mille bolle blu”, “L’uomo per me”, “E se domani”, fino all’ultimo brano, “Grande grande grande”. Le note finali si spensero tra gli applausi e, senza bis, il sipario calò. Nessun annuncio ufficiale, nessun commiato: solo un silenzio che sarebbe diventato eterno. Le restanti date di settembre furono cancellate, ufficialmente per un’indisposizione – si parlò di un’infezione polmonare – ma la decisione era presa. Non sarebbe mai più salita su un palco.

Per capire la portata di quel gesto bisogna ricordare cos’era Mina nel 1978. Non solo una cantante: un’istituzione, un fenomeno di costume, la prima donna della musica italiana a imporsi con una libertà assoluta. Aveva attraversato gli anni Sessanta e Settanta con una voce che sembrava non avere confini: tre ottave di estensione, timbro inconfondibile, un controllo tecnico capace di affrontare qualunque genere, dal pop alla bossanova, dal jazz alla canzone napoletana, fino alla musica d’autore più sofisticata. Ogni apparizione era un evento, ogni brano un successo.

Il lato malinconico della bella stagione: così Un Briciolo di allegria di Mina e Blanco rompe il diktat ritmo-leggerezza

Era la prima ad avere osato portare nel pop italiano scelte stilistiche internazionali: arrangiamenti raffinati, contaminazioni di generi, testi che affrontavano temi inusuali. Aveva collaborato con Tenco, Battisti, Endrigo, Aznavour, Morricone, Dalla. Aveva venduto milioni di dischi senza piegarsi mai alle regole del mercato, imponendo le proprie. In televisione, i suoi varietà erano capolavori di eleganza e innovazione: ogni sua performance, ripresa in bianco e nero o a colori, resta una lezione di interpretazione.

Eppure, proprio all’apice, decise di fermarsi. Un ritiro così netto, senza tournée d’addio, senza conferenze stampa, senza nemmeno dare il tempo al pubblico di metabolizzare la notizia, era qualcosa di inconcepibile. Nel mondo dello spettacolo, dove la visibilità è carburante, Mina scelse di sottrarsi alla luce. Il paradosso è che questa sottrazione, invece di farla dimenticare, l’ha resa immortale.

Il passo indietro non fu improvviso. Già nel 1972 aveva scherzato con i giornalisti annunciando un ritiro, poi rientrato. Ma il desiderio di autonomia, personale e artistica, la spinse definitivamente verso la Svizzera, dove aveva trovato rifugio e indipendenza. Non era un’esiliata, ma una donna che voleva vivere alle sue condizioni, lontana dalla pressione mediatica.

Anche la televisione aveva già salutato Mina quattro anni prima, l’11 maggio 1974, con l’ultima apparizione in “Milleluci” accanto a Raffaella Carrà. Dopo il 1978, nessuna intervista, nessun servizio fotografico concordato. Solo qualche scatto rubato, in cui appariva con abiti scuri, capelli raccolti e occhiali da sole.

La sua vita privata era stata al centro delle cronache ben prima del ritiro. Il primo grande amore, e scandalo, fu con Corrado Pani, all’epoca sposato: la nascita del figlio Massimiliano nel 1963 provocò un putiferio, le costò l’allontanamento dalla Rai e l’assalto della stampa. «Me ne hanno tirato addosso delle badilate – raccontò a Playboy – e la gente non si è lasciata condizionare da questo fatto, l’ha superato». Poi arrivarono Augusto Martelli, Virgilio Crocco – sposato nel 1970 e perso tragicamente due anni dopo in un incidente – e infine il cardiochirurgo Eugenio Quaini, il compagno di una vita.

Massimiliano Pani, oggi produttore e arrangiatore, ha sempre protetto la scelta della madre. «Quando in tv ci sono celebrazioni di Mina lei cambia canale e fa in cremonese “Ussignur”», ha raccontato all’Ansa. «Non vuole essere celebrata, è una musicista, un’intellettuale, una donna molto ironica e intelligente. Ha abbandonato il personaggio Mina perché la persona è più forte del personaggio. Sta benissimo da sola con se stessa, con quella ragazza di Cremona che non si preoccupa se la dimenticheranno». 

In oltre quattro decenni di assenza fisica dalle scene, Mina non ha mai smesso di cantare. Ha pubblicato oltre cento dischi – il 107esimo, “Gassa d’Amante”, è atteso il 22 novembre – e collaborato con Zucchero, Baglioni, Bosé, Vanoni e molti altri. Nel 2001, sul sito della compagnia telefonica Wind, riapparve in video durante la registrazione di “Oggi sono io” di Alex Britti: era entrata in studio per provare, ma al primo tentativo i tecnici le dissero che era perfetta. Il Dvd “Mina in studio” fu un successo clamoroso.

Di quella notte del 1978 resta la registrazione ufficiale, “Mina Live ’78”, inserito da Rolling Stone tra i cento dischi italiani più belli di sempre. La voce, il respiro, il pubblico, l’energia: tutto congelato in un album che è il testamento di una scelta senza precedenti.

E forse è questo il segreto del mito: aver saputo dire basta quando ancora tutto le era possibile, lasciando un’assenza che nessuno è riuscito a colmare. Perché in un Paese che tende a consumare i suoi idoli fino all’esaurimento, Mina ha scelto di conservare intatta la sua immagine, sottraendosi al logorio dell’abitudine. Ha scelto il mistero, e il mistero, si sa, è l’ossigeno delle leggende.

Il pubblico uscì dalla Bussoladomani inconsapevole di aver assistito all’ultima volta. La “Tigre di Cremona” aveva chiuso la gabbia e lasciato il palco, scegliendo il silenzio per proteggere la propria libertà. In un mondo in cui la fama è diventata ossessione, quel passo indietro resta, a distanza di quasi mezzo secolo, il gesto più rivoluzionario della musica italiana.