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23/09/2025 ore 12.17
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«Uccidere i giornalisti è uccidere le nostre libertà»: Mattarella a Napoli ricorda Giancarlo Siani e parla ai giovani

Il Capo dello Stato evoca i 246 reporter palestinesi morti a Gaza. E tra ricordi e incontri con studenti, detenuti e piccoli pazienti, avverte: «Non affidatevi all’IA, la scuola produce futuro».

di Luca Arnaù

Mattarella evoca i 246 giornalisti palestinesi morti a Gaza e afferma che ogni attacco alla stampa è un attacco alla democrazia. Tra ricordi e incontri con studenti, detenuti e piccoli pazienti, il capo dello Stato avverte: «Non affidatevi all’IA, la scuola produce futuro».

Ricordare Giancarlo Siani, a quarant’anni dal suo assassinio, significa inevitabilmente evocare tutti i giornalisti che nel mondo hanno pagato con la vita il coraggio di raccontare la verità. A partire dai 246 cronisti palestinesi morti a Gaza dall’inizio della guerra. Sergio Mattarella non ha mai fatto nomi, ma la stoccata al premier israeliano Benjamin Netanyahu era trasparente: «L’assassinio dei giornalisti è un assassinio delle nostre libertà, di una parte di noi a cui la comunità non intende rinunciare».

Parole scandite con forza ieri a Napoli, durante la cerimonia di apertura dell’anno scolastico 2025/2026 all’istituto professionale “Rossini” di Fuorigrotta, davanti a centinaia di studenti, docenti e ospiti d’eccezione come Jovanotti. Un contesto scelto non a caso: Napoli è la città in cui Siani ha vissuto, scritto e perso la vita, colpito dai killer della camorra il 23 settembre 1985.

«Fu ucciso perché aveva acceso la luce sulle attività criminali dei clan, svelato i loro conflitti interni, le viltà che li caratterizzano», ha ricordato il capo dello Stato. Poi ha allargato lo sguardo alla cronaca contemporanea: in molte aree di guerra, il tesserino da giornalista non è più protezione ma bersaglio. «Sono trascorsi quarant’anni da quell’agguato – ha aggiunto – ma la sua testimonianza vive nella società che rifiuta l’oppressione delle mafie e nei colleghi giornalisti fedeli all’etica della professione».

La giornata di Mattarella è stata un percorso dentro tre luoghi simbolici di Napoli: la scuola, il carcere minorile e l’ospedale pediatrico. Prima tappa al Rossini, dove il presidente ha inaugurato ufficialmente l’anno scolastico insieme al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, al presidente della Regione Vincenzo De Luca, al sindaco Gaetano Manfredi, al cardinale Domenico Battaglia e ai vertici delle forze dell’ordine. Poi la visita a Nisida, il carcere minorile che ha ispirato la serie “Mare fuori”, e infine l’ospedale Pausilipon, dove i bambini ricoverati hanno accolto il capo dello Stato con disegni e domande semplici e disarmanti.

È stato lì che un piccolo paziente, con la voce tremante, gli ha chiesto: «Perché nel mondo esiste la guerra?». Mattarella ha sospirato, cercando le parole giuste. «Purtroppo esiste il male, la violenza. La guerra distrugge tutto, perdiamo tutti. È incomprensibile. Per questo voi bambini siete importanti: dovete aiutare gli adulti a non dimenticare che la pace è l’unica strada».

Il presidente ha saputo alternare il tono severo del monito alla leggerezza di momenti di vicinanza. Come quando ha ascoltato il rap scritto dagli studenti in memoria di Martina Carbonaro, la ragazza di 14 anni uccisa ad Afragola dall’ex fidanzato. «Il rap è nato come strumento di cambiamento, come desiderio di protesta e orienta al futuro», ha detto Mattarella, sorprendendo molti per la sua conoscenza del genere. Jovanotti, al suo fianco, ha rilanciato: «Mi unisco alle piazze che chiedono lo stop alle morti a Gaza». «La musica è libertà – ha replicato il capo dello Stato – e consente di superare gli ostacoli. Un enorme grazie a voi ragazzi».

Il filo rosso della giornata, però, è rimasto la scuola. «Il ritmo veloce delle trasformazioni richiede sguardo aperto e disposizione al cambiamento. L’innovazione tecnologica offre opportunità straordinarie ma anche incognite. Non cadete nella tentazione dell’Intelligenza artificiale: affidare i compiti a una macchina vuol dire addormentare la propria intelligenza». Parole accolte con applausi convinti, che hanno dato corpo al messaggio: la scuola è il luogo della formazione, non della scorciatoia.

Mattarella non si è fermato all’IA. Ha messo nel mirino anche i social network, definiti «armi che colpiscono in profondità», e ha chiesto ai ragazzi di opporsi con decisione al bullismo: «La scuola deve essere il luogo in cui ogni forma di violenza è bandita». Poi ha chiamato in causa le famiglie: «Sono chiamate a costruire un rapporto di fiducia con gli insegnanti, anno dopo anno. Fiducia anche nei ragazzi».

Un messaggio forte, lanciato in una città attraversata dalle manifestazioni pro-Palestina e in un’Italia che ricorda ancora la Mehari verde di Siani, trasformata in simbolo di un giornalismo che non si piega. «Quel feroce assassinio è parte incancellabile della memoria della Repubblica – ha concluso Mattarella –. Lo animava un forte senso di giustizia sociale che si nutriva di legalità. Far conoscere la realtà criminale era per lui un modo di liberare il territorio dal giogo dei clan. Le verità raccontate sono state la ragione della spietata rappresaglia, ma la giustizia ha colpito mandanti ed esecutori. È la dimostrazione che la mafia può essere sconfitta».

Un ricordo che, a distanza di quarant’anni, non è solo commemorazione. È un avvertimento: senza giornalisti liberi, senza scuole che formano cittadini consapevoli, senza giovani capaci di guardare oltre la violenza, la democrazia resta fragile.