Nightclub, jet privati e post su X: la gestione disinvolta dell’Fbi secondo Kash Patel
Per l’ex vicedirettore Figliuzzi il Bureau sarebbe «nel caos»: briefing ridotti, assenze frequenti, viaggi personali con aerei governativi e un esercizio opaco delle comunicazioni
A Washington, tra i corridoi del potere, si sussurra sempre più forte un dubbio: chi comanda davvero l’Fbi? Formalmente è Kash Patel, l’uomo scelto da Donald Trump per guidare il Bureau. Ma se si ascolta Frank Figliuzzi, ex vicedirettore con oltre vent’anni di servizio alle spalle, la risposta sembra un’altra: nessuno. O peggio ancora: comanda il caos.
L’accusa, lanciata in diretta tv su MSNBC, è di quelle che lasciano il segno. «Lo si vede più spesso nei nightclub che al settimo piano dell’edificio Hoover», ha dichiarato Figliuzzi. Il riferimento non è casuale: il settimo piano è il cuore operativo dell’Fbi, dove si prendono le decisioni. I nightclub, invece, sono lo scenario in cui — secondo le sue fonti — Patel trascorre la maggior parte del suo tempo. Non solo: i briefing quotidiani, momento cruciale della catena di comando, sarebbero stati ridotti a due volte alla settimana. «Non sappiamo dove stia andando la situazione», ha aggiunto l’ex funzionario, «ma chi lavora ancora nel Bureau usa spesso una sola parola: caos».
Patel, classe 1980, è stato una nomina sorprendente sin dal principio. Nessuna esperienza diretta come agente, né formazione specifica all’interno dell’Fbi. Ha iniziato come difensore d’ufficio, ha lavorato al Dipartimento di Giustizia e come consigliere per la sicurezza nazionale, è stato uno degli uomini chiave della galassia trumpiana negli anni più turbolenti. Ha fondato la Kash Foundation ed è stato anche vicedirettore dell’Intelligence nazionale. Ma la direzione di un’agenzia come il Federal Bureau of Investigation è tutt’altra cosa.
La sua gestione — secondo diverse ricostruzioni giornalistiche, dal Wall Street Journal al Washington Post — sarebbe segnata da una presenza discontinua negli uffici di Washington e da un costante pendolarismo verso la sua casa a Las Vegas. Non solo per motivi personali: a insospettire è l’uso degli aerei governativi per spostamenti privati, incluso un incontro dell’Ufc e una partita di hockey. Fotografie scattate durante questi eventi lo ritraggono in prima fila, sorridente accanto a celebrità come Wayne Gretzky. La trasparenza non è stata finora il punto forte della nuova gestione.
Un altro caso emblematico si è consumato pochi giorni fa. Patel ha annunciato su X (l’ex Twitter) l’arresto della giudice Hannah Dugan di Milwaukee, accusandola di aver ostacolato un’operazione federale contro un migrante irregolare. Il post è stato poi cancellato senza spiegazioni, salvo riapparire due ore dopo in una versione modificata. La giudice è effettivamente finita sotto inchiesta per ostruzione e occultamento di persona, ma le modalità con cui l’Fbi ha gestito la comunicazione — e il tempismo del direttore — sollevano più di un interrogativo. È la prassi investigativa a guidare l’azione dell’agenzia, o la ricerca di un effetto mediatico immediato?
Al centro dell’attenzione c’è anche la vita privata del direttore. La sua compagna è Alexis Wilkins, 26 anni, cantante country e influencer americana. Una presenza fissa al suo fianco negli eventi pubblici, compresi alcuni dei viaggi che hanno attirato l’attenzione del Congresso. Proprio in questi giorni, alcuni senatori democratici hanno avviato un’indagine formale sull’utilizzo da parte di Patel delle risorse dell’Fbi a fini personali.
A rendere la situazione ancora più delicata è il momento politico: con le presidenziali alle porte e un clima sempre più polarizzato, la credibilità delle istituzioni federali è sotto pressione. E l’Fbi, in particolare, è già nel mirino per le sue inchieste passate e presenti su figure vicine a Trump. Affidare la guida del Bureau a un uomo che è stato parte organica di quell’universo non è una scelta neutrale. E le preoccupazioni di chi teme un uso politico della polizia federale non possono essere liquidate come allarmismi infondati.
Frank Figliuzzi, nel suo intervento televisivo, ha messo a fuoco il cuore del problema: «Se Patel non è presente, le cose vanno male. Ma se cerca di dirigere senza avere l’esperienza, vanno peggio. In entrambi i casi, non sappiamo davvero chi sia al comando». Il rischio, secondo l’ex vicedirettore, è che l’Fbi stia diventando una macchina senza conducente. O, peggio ancora, una macchina con un pilota che guida guardando i riflessi dei neon di Las Vegas.
In tempi in cui la fiducia nelle istituzioni è fragile e l’opinione pubblica americana si divide su tutto, la sensazione che l’agenzia investigativa più potente del mondo sia guidata con leggerezza o distrazione non è solo una notizia. È una minaccia.