Ora legale tutto l’anno, l’Italia accelera: in Parlamento parte l’iter per dire addio al cambio dell’ora
L’84% degli europei è contrario al cambio stagionale. Nel nostro Paese, numeri record su risparmio energetico e riduzione delle emissioni rendono l’opzione sempre più concreta. Ma la decisione dovrà combinare benessere, armonizzazione Ue e impatto economico
Il dibattito torna ufficialmente in Aula. La Camera dei deputati apre il primo vero dossier parlamentare sull’adozione permanente dell’ora legale, mettendo a calendario un’indagine conoscitiva che, nelle intenzioni dei promotori, dovrà misurare costi, benefici e ricadute di una scelta che cambierebbe le abitudini di milioni di italiani. A spingere verso questa direzione non c’è solo una lunga campagna di sensibilizzazione, ma anche una petizione popolare che ha raccolto 352 mila firme, un fronte trasversale di associazioni e una letteratura scientifica che negli ultimi anni ha iniziato a parlare con chiarezza.
Se l’indagine sarà approvata, il Parlamento avrà poco più di sette mesi per ascoltare esperti, acquisire dati e presentare una proposta normativa entro il 30 giugno 2026. Al tavolo siederanno la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), Consumerismo No Profit, tecnici del Ministero dell’Ambiente e il deputato Andrea Barabotti, volto politico più attivo sul tema. La richiesta è semplice: mantenere l’ora legale tutto l’anno e archiviare definitivamente il cambio semestrale fra orario solare e orario estivo.
Si tratta di una discussione che l’Europa affida agli Stati dal 2019, quando il Parlamento Ue votò per abolire l’obbligo del doppio cambio annuale. L’attuazione, però, si è arenata fra pandemia, dossier interni più pressanti e difficoltà di coordinamento tra Paesi. Non sorprende dunque che nelle ultime settimane anche Bruxelles sia tornata sui propri passi: la Commissione ha annunciato un nuovo studio sugli effetti del cambio d’ora, mentre il premier spagnolo Pedro Sánchez ha definito la prassi «un gesto senza senso». Il dibattito rimbalza così nei singoli Parlamenti nazionali, Italia compresa.
A muovere la discussione italiana sono soprattutto i numeri. Secondo le rilevazioni di Terna, tra il 2004 e il 2025 il nostro Paese ha risparmiato 2,3 miliardi di euro e oltre 12 miliardi di kWh grazie all’ora legale. Solo nel 2025 il risparmio stimato ha superato i 90 milioni di euro. Le proiezioni elaborate dagli analisti indicano che, se l’orario estivo diventasse la regola, l’Italia potrebbe evitare ogni anno circa 720 milioni di kWh di consumi, con un beneficio economico di 180 milioni di euro. A ciò si aggiungono gli effetti ambientali: una riduzione tra 160 e 200 mila tonnellate di CO₂ l’anno, l’equivalente dell’assorbimento di milioni di alberi.
Numeri che pesano, soprattutto in un momento storico in cui il Paese è chiamato a ridurre sprechi, alleggerire il sistema energetico e rafforzare le proprie strategie climatiche. Ma l’energia è solo una parte del problema. Negli ultimi anni diverse ricerche hanno posto l’attenzione anche sugli effetti del ritorno improvviso all’ora solare sul ritmo circadiano: disturbi del sonno, variazioni di umore, calo della concentrazione e picchi di pressione sono fenomeni accertati nelle settimane successive. La Sima, fra i promotori dell’iniziativa, sostiene che l’ora legale stabile aiuterebbe a stabilizzare l’orologio biologico, riducendo i picchi critici che si registrano nei giorni immediatamente successivi al cambio d’ora.
Non solo salute. Anche sicurezza e vita quotidiana entrano nel quadro. Con il buio anticipato, si osserva un aumento degli incidenti stradali e di quelli sul lavoro, così come una maggiore esposizione alla microcriminalità. È un fenomeno noto alle forze dell’ordine e tornato ciclicamente nei rapporti del Viminale. Al contrario, una luce serale più lunga favorirebbe i consumi e le attività sociali: commercio, ristorazione, turismo, sport all’aperto e eventi culturali. In un Paese che vive di stagionalità e di economia del tempo libero, il tema non è affatto marginale.
In Parlamento, tuttavia, la discussione si preannuncia delicata. L’indagine conoscitiva non implica automaticamente l’adozione dell’ora legale permanente: rappresenta piuttosto un primo passo, utile a orientare una scelta che dovrà passare attraverso la compatibilità con il quadro europeo e una valutazione complessiva delle ricadute sociali. Alcuni parlamentari chiedono una maggiore armonizzazione continentale per evitare disallineamenti tra Stati confinanti; altri sollecitano un’accelerazione immediata, anche a costo di procedere unilateralmente.
A rendere più complessa la questione è il fatto che l’ora legale permanente divide da anni studiosi e associazioni: c’è chi sottolinea i benefici psicofisici delle giornate “più lunghe”, e chi teme effetti negativi sulle fasce più giovani e più anziane. È proprio su questi aspetti che l’indagine dovrà fare chiarezza, presentando scenari aggiornati e una sintesi degli effetti sistemici della misura.
Fuori dal Palazzo, però, il Paese sembra avere un’opinione piuttosto chiara. L’84% dei cittadini europei, secondo l’ultima consultazione Ue, è favorevole all’abolizione del cambio d’ora. E in Italia, la petizione da 352 mila firme consegnata oggi alla Camera racconta una mobilitazione trasversale. In un periodo storico in cui la crisi energetica ha reso evidenti i limiti del modello attuale, trasformare il dibattito in decisione politica è diventato un tema di opportunità più che di principio.
L’indagine conoscitiva sarà il primo banco di prova. Da qui ai prossimi mesi si giocherà la partita: dati alla mano, l’Italia dovrà decidere se allinearsi a quegli Stati che già guardano a un orario fisso, o se continuare con un meccanismo che, anno dopo anno, appare sempre più un retaggio del passato.
La sfida, ora, è trasformare un dibattito ricorrente in una scelta definitiva, capace di conciliare efficienza energetica, benessere sociale e armonizzazione europea. E di dire, finalmente, se l’ora legale permanente è davvero il tempo giusto per il Paese.