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29/07/2025 ore 12.22
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Ozzy Osbourne e la morte dolce: l’ipotesi shock del suicidio assistito scuote il mondo del rock

Il “Principe delle tenebre” se n’è andato circondato dall’amore, dice la famiglia. Ma non dal dolore? A insinuare il dubbio è il biografo Ken Paisli, che nel libro in uscita il 6 agosto avanza una sconvolgente supposizione: Ozzy Osbourne potrebbe aver scelto l’eutanasia. E gli indizi non mancano

di Luca Arnaù

Ozzy Osbourne è morto. E fin qui, è cronaca. Ma come è morto Ozzy Osbourne? È questa la vera notizia che oggi sta facendo tremare il mondo del rock. Perché a pochi giorni dall’annuncio ufficiale della famiglia – che ha parlato di “una morte serena, circondato dall’amore” – arriva una voce clamorosa a rimettere tutto in discussione. Il biografo Ken Paisli, autore del libro Ozzy – La storia, in uscita il 6 agosto, sgancia la bomba: il Principe delle tenebre potrebbe aver scelto il suicidio assistito.

Sì, avete letto bene. Non un decesso naturale, né il lento addio annunciato da una malattia degenerativa. Ma una scelta consapevole, lucida e perfettamente coerente con il pensiero che Ozzy aveva espresso già anni fa: “Più che della morte, ho paura della sofferenza”. Lo aveva detto lui stesso in un’intervista a Rolling Stone, due anni fa. Non una frase buttata lì: una dichiarazione di principio. “Mi piace l’idea che, se hai una malattia terminale, puoi andare in Svizzera e farla finita in modo rapido. Mio padre è morto tra le sofferenze più atroci. Io non voglio finire così”.

L’ultimo regalo di Ozzy Osbourne, l’incasso del concerto da record prima della morte: 190 milioni per la lotta al Parkinson

E adesso, con la morte annunciata a luglio e una serie di dettagli quantomeno sospetti, l’ipotesi che Ozzy abbia scelto davvero la strada dell’eutanasia prende corpo. A rilanciare l’ipotesi è Il Messaggero, citando proprio Paisli e un lungo articolo firmato da Mattia Marzi. E l’elenco degli indizi non è breve.

Primo: la foto postata sui social poche ore prima della morte. Una foto in bianco e nero, scattata il 5 luglio, nel backstage dell’ultimo concerto a Birmingham. Ozzy in piedi, le spalle curve, la scritta sul muro: “The final show”. Traduzione: “Lo show finale”. Una foto che, nel libro, Paisli definisce “profondamente simbolica”. E che oggi suona come un messaggio d’addio.

Secondo: il comunicato della famiglia. Breve. Stringato. Nessun dettaglio sulle cause del decesso, nessun riferimento al luogo in cui è avvenuto. Solo: “Se n’è andato circondato dall’amore”. La frase perfetta per dire tutto. O per non dire nulla. E in effetti, nulla è stato detto. Ma le omissioni, in certi casi, parlano più delle parole.

Terzo: la lunga battaglia di Ozzy contro il Parkinson, la malattia degenerativa diagnosticata nel 2019. Una malattia che non era (ancora) terminale, ma che lo aveva debilitato profondamente. Negli ultimi mesi era apparso sempre più fragile, sempre più distante. E non era tipo da nasconderlo. Aveva parlato apertamente della paura, della fatica, della fine che incombeva. E di quella frase, sempre quella: “Non voglio soffrire come mio padre”.

E poi, certo, c’è la testimonianza del biografo. Paisli non è uno qualunque. È uno che con Ozzy ha parlato, vissuto, scritto. E nel libro lo dice chiaro: “Da buon ipocondriaco, ha sempre detto che più che di morire aveva il timore di soffrire. Credo che questo non sia accaduto”. Una frase che pesa come un macigno. E che lascia intendere che la morte di Ozzy sia stata tutto fuorché casuale.

Il punto è che questa storia, per quanto cupa, non fa a pugni con il personaggio Ozzy. Anzi. Ne è la degna conclusione. Dopo una vita di eccessi, urla, morsi ai pipistrelli e disastri vari, Osbourne ha sempre cercato – nel caos – un senso. Un ordine. Una coerenza. E se c’era una cosa che non sopportava, era l’agonia inutile. Il dolore prolungato. L’idea di spegnersi lentamente in un letto d’ospedale. Non era roba per lui. E forse, proprio per questo, ha deciso di uscire di scena a modo suo. In silenzio. Da protagonista.

E no, non è ancora arrivata nessuna conferma ufficiale. Né dalla famiglia, né dalla casa discografica, né dalla produzione del libro. Ma le parole, le immagini, il contesto, il personaggio: tutto punta lì. Tutto suggerisce che la morte di Ozzy Osbourne sia stata una scelta consapevole, meditata, pianificata. Non una fuga, ma una dichiarazione. L’ultimo atto di libertà di un uomo che ha vissuto come ha voluto. E che, forse, è morto allo stesso modo.

Il Principe delle tenebre ha spento la luce. E l’ha fatto da solo.