Per colpa di Putin scoppia la guerra tra Al Bano e Romina
La storica coppia si divide sul conflitto in Ucraina: lui si definisce “messaggero di pace” e difende Putin, lei prende le distanze con un post secco e durissimo. Il cantante replica con amarezza: «Una coltellata mediatica, non me l’aspettavo dalla madre dei miei figli»
Il concerto di Al Bano nella Russia di Putin ha scatenato un’ondata di sconcerto e indignazione, e le ultime dichiarazioni del cantante non hanno fatto che gettare benzina sul fuoco. Romina Power, magnifica voce e partner storica del pugliese, ha preso posizione con fermezza: «Mi dissocio dalla canzone Felicità cantata in Russia. Non ho accettato di prendere parte a quel concerto. Non mi sembra né il luogo, né il momento di cantare Felicità» ha spiegato, scagliando una freccia chiarissima al cuore del sipario stonato di San Pietroburgo.
Le parole della ex moglie hanno avuto l’effetto di una coltellata: Al Bano, intervistato dal Corriere della Sera, ha risposto con evidente sorpresa e risentimento. «Questa è proprio una coltellata che non mi aspettavo da una signora che è anche la madre dei miei figli» ha ammesso, aggiungendo con tono pungente: «Al Bano e Romina Power sono stati un duo straordinario, per anni, quando tra di loro c’era amore. Lei a un certo punto ha deciso di tagliare, di andarsene in America, di rompere una famiglia e un duo straordinario… Adesso se n’è ritornata in Puglia. Ma perché spara queste bordate? A che titolo». La sua risposta è un misto di rabbia e incredulità: «Il post pubblicato su Instagram da Romina è una coltellata mediatica. Dalla madre dei miei quattro figli non me la sarei mai aspettato. Sono rimasto veramente stupito da quello che ha scritto».
Ma non basta. Al Bano ha anche espresso parole di grande affetto nei confronti di Vladimir Putin, descrivendolo come “persona perbene”: «Lo conosco fin dal 1986, quando ho fatto una serie di spettacoli nell’allora Leningrado. L’ho visto al Cremlino, insieme con Eltsin… Io so che Putin è il più occidentale dei russi, è una persona perbene». Una presa di posizione che lascia sconcertati: definire “occidentale” un uomo che ha scatenato un’aggressione militare contro l’Ucraina e che mantiene un regime autoritario, mostra un distacco dalla realtà che fa paura.
Sul palco di San Pietroburgo, il 20 giugno, Al Bano ha rubato la scena, persino nel suo primo viaggio in Russia dall’inizio del conflitto. Si è definito “messaggero di pace” e ha messo in discussione i media italiani, accusandoli di “non conoscere la realtà”: «Quelli che criticano non sanno nulla, non capiscono niente perché sono lontani dalla realtà”» Anche al Tg1 ha insistito: «Accendi la tv e dicono che qui ci sono bombe e cannoni ovunque. Tu li vedi?», ha chiesto alla giornalista, che si è affrettata a correggerlo: «La guerra non è qui…».
Ecco la contraddizione: da un lato un artista che si definisce “messaggero di pace”, e dall’altro la scelta di calcare un palco attentamente orchestrato da un regime aggressivo, nella cornice di un Forum economico che è una vetrina propagandistica. Il risultato è una performance implausibile, costellata di frasi retoriche come “vitamina F di Felicità” e di sconcertanti affermazioni sulla realtà russa.
Dietro i cori entusiasti degli oltre 600mila presenti, si cela una realtà ben altra: la Russia di Putin resta un regime sanguinario, che reprime l’opposizione interna, perseguita giornalisti e dissidenti, insabbia i genocidi in Ucraina. Definirlo “persona perbene” è un’offesa all’intelligenza dei milioni di vittime che, oggi, vedono il proprio futuro incerto e violato da un blindato autoritarismo.
Il pacifismo di facciata, di artisti che portano la “vitamina F”, rischia spesso di essere mera retorica, se non addirittura ipocrisia. E quando viene aggiornata con la frase «Accendi la tv e dicono che qui ci sono bombe e cannoni ovunque. Tu li vedi?», diventa una beffa.
Romina Power ha colto l’essenziale: cantare “Felicità” nella Russia di Putin è una scelta grave, fuori tempo e fuori luogo, sotto ogni punto di vista. L’equilibrio tra arte, responsabilità e contesto geopolitico non è un’opzione, è un obbligo morale. Continuare a considerare “messaggero di pace” chi calca un palco in regime autoritario equivale a negare la storia, la sofferenza, e ogni forma di buon senso.