Sezioni
Edizioni locali
18/12/2025 ore 16.36
Italia Mondo

Pier Silvio davanti al cortocircuito Signorini-Corona: due facce dello stesso circo e una sola domanda che conta davvero per Mediaset

Non è una rivelazione: è una resa dei conti tra persone nate nello stesso star system. Uno finge di essere il moralista arrivato ieri, l’altro fa il volto perfetto su cui scaricare tutto. In mezzo c’è Berlusconi, che deve scegliere se trattare l’ennesimo incendio come spettacolo o come frattura strutturale

di Luca Arnaù

C’è un vuoto, in questa storia, che pesa più delle accuse e più delle smentite: si chiama Pier Silvio Berlusconi. Perché il punto non è soltanto Alfonso Signorini nel mirino di Fabrizio Corona, né la prevedibile linea difensiva del “è tutto in mano ai miei legali”. Il punto è cosa succede quando, dentro una tv che vive di reputazione e controllo, il “chiacchiericcio” smette di essere rumore e diventa un problema industriale. E sì, industriale: perché qui non stiamo parlando di una lite da salotto, ma di un corto circuito che investe il marchio, i palinsesti, la pubblicità, perfino la credibilità interna di chi governa.

Mettiamo subito in fila la sintesi, quella che molti fingono di non capire: Signorini e Corona non sono opposti. Non sono il bene e il male. Sono due facce dello stesso mondo che oggi si azzannano in pubblico. Signorini è l’uomo del “cancello”, il volto istituzionale del gossip reso televisione, il professionista che per anni ha abitato il confine tra intrattenimento e potere, tra accesso e selezione, tra “ti faccio entrare” e “ti tengo fuori”. Corona è l’uomo del “retroscena”, quello che per anni ha monetizzato il segreto, il sottobosco, l’ambiguità, la zona grigia dove il privato diventa arma. Oggi uno recita la parte del moralista e l’altro quella dell’aggredito, ma vengono dalla stessa palestra: lo star system italiano, dove spesso contano più le porte che il talento, più la protezione che la trasparenza.

Ecco perché chiamarlo “scandalo” è quasi riduttivo: questa non è una rivelazione, è una resa dei conti tra ex complici o, se preferisci, tra due persone che hanno respirato lo stesso ossigeno per anni e ora si contendono l’aria rimasta. Corona parla di “sistema” come se l’avesse scoperto ieri, e invece è come vedere uno che ha fatto bancomat per una vita indignarsi perché la banca esiste. Il problema non è che parli. Il problema è la sceneggiata dell’estraneità, quel tono da “io ve lo dico adesso” che cancella una carriera costruita esattamente su quelle stesse dinamiche. Signorini, dall’altra parte, è il bersaglio perfetto perché è riconoscibile, esposto, simbolico: la faccia che consente a tutti di semplificare, di ridurre un meccanismo a un uomo solo, così ci si libera dal dovere di guardare il resto del tendone.

Ed è qui che Pier Silvio diventa la vera notizia. Perché quando il discorso si sposta dal “chi ha detto cosa” al “che cosa produce questo caso”, la domanda è brutale: Mediaset può permettersi che il suo prime time di costume diventi una palude permanente? Può permettersi che un programma che vive di pubblico e pubblicità venga trascinato in un racconto tossico, dove il tema non è più il reality ma il potere, l’accesso, la ricattabilità? Può permettersi che la risposta ufficiale sia solo legale, quindi difensiva, quindi muta sul piano culturale e gestionale?

Perché la frase “è tutto in mano ai miei legali” è perfetta, certo. È una formula che blinda, minaccia, raffredda. Ma è anche una benzina narrativa: non spegne la storia, la rende “ufficiale”, le dà un’aura da dossier, la trasforma in serie. E quando la storia diventa serie, l’algoritmo ringrazia, i social impazziscono, i tifosi si schierano, gli ex concorrenti annunciano dirette “con tutta la verità”, e in un attimo l’indignazione diventa intrattenimento. Esattamente ciò che quel mondo sa fare meglio: trasformare il fango in format.

Pier Silvio, in questo, è l’unico che non può giocare a fare il tifoso. Perché lui non gestisce un profilo social: gestisce un’azienda. E un’azienda, quando sente odore di rischio reputazionale, ragiona in tre parole che nessuno pronuncia mai ad alta voce ma che muovono tutto: credibilità, investitori, inserzionisti. Non serve essere moralisti per capire che certe accuse, anche solo come rumore di fondo, cambiano il clima. E quando il clima cambia, un amministratore non si chiede “chi ha ragione”, si chiede “quanto mi costa restare fermo”. E soprattutto: “che messaggio do lasciando che questa guerra diventi il nuovo spettacolo collaterale?”

Il paradosso è questo: Corona e Signorini, mentre si combattono, tengono in vita lo stesso meccanismo. Corona alimenta l’industria dell’allusione venduta come verità. Signorini diventa l’emblema comodo su cui scaricare tutto, e così il sistema vero resta intatto, perché ha un capro espiatorio e un accusatore seriale. Il tendone non viene mai smontato: cambia solo il clown che prende i pomodori in faccia. Intanto il pubblico fa ciò che sa fare meglio: tifare. Difendere l’idolo. Odiare il nemico. Come se fosse una partita, non un tema di potere.

Ma Pier Silvio non può permettersi il lusso del tifo, perché qui c’è un punto che va oltre i due protagonisti: il nodo strutturale del rapporto tra visibilità e accesso, tra carriera e “favori”, tra ambizione e zona grigia. Se davvero lo star system italiano è pieno di dinamiche opache, la domanda non è “come osi dirlo”, ma “perché se ne parla sempre e non cambia mai nulla”. E qui arriva la scelta: trattare tutto come l’ennesimo incendio da spegnere con due comunicati e una querela, oppure decidere che un certo tipo di ambiguità non è più sostenibile nel 2025, quando qualunque cosa diventa virale e resta incollata al brand come catrame.

Ecco perché Pier Silvio non può sparire dal pezzo. Perché la vera suspense non è se Corona alzerà il volume o se Signorini passerà alle carte bollate. La vera suspense è se Mediaset continuerà a far finta che sia “solo gossip”, oppure se dirà, finalmente, che ci sono confini, regole, controlli, responsabilità. Non per moralismo: per sopravvivenza. Perché se la tv non decide di essere più adulta, qualcuno la renderà adulta a schiaffi.

Il resto, per ora, è la solita scena italiana: due uomini dello stesso mondo che si scannano fingendo di essere estranei, il pubblico che si divide come allo stadio, e il sistema che incassa comunque. Il circo cambia i protagonisti, sì. Ma il tendone resta lì. E Pier Silvio, volente o nolente, è quello che deve decidere se continuare a venderci i biglietti o se, almeno una volta, provare a cambiare lo spettacolo.