Accuse, smentite, bugie e giustificazioni: quel pasticciaccio brutto di Almasri
La decisione del Tribunale dei ministri sulla mancata consegna del generale libico alla Corte penale internazionale da parte del governo italiano è imminente
Un generale libico accusato di crimini contro l’umanità viene fermato in Italia. La Corte penale internazionale chiede il suo arresto. Il governo italiano prende tempo, si contraddice, lo lascia andare. E ora rischia grosso.
Il nome è quello di Osama Najeem Almasri, ex ufficiale dei servizi penitenziari libici: su di lui pendeva un mandato di arresto della Corte penale internazionale per reati gravissimi – omicidi, torture, stupri,
trattamenti inumani. Fermato a Torino il 19 gennaio scorso, viene trattenuto e poi rilasciato il 21 gennaio dalla Corte d’Appello di Roma. Poco dopo, riparte indisturbato per Tripoli su un volo di Stato. Un caso internazionale. Ma soprattutto, uno scandalo tutto italiano.
Perché ora il Tribunale dei ministri è a un passo dal chiudere il suo lavoro e decidere se chiedere l’autorizzazione a procedere contro alcuni esponenti del governo. Il cuore della questione ruota attorno a un’accusa ben precisa: omissione di atti d’ufficio. In particolare, quella mossa dalla procura di Roma nei confronti del ministro della Giustizia Carlo Nordio, col sospetto che il suo dicastero non abbia voluto eseguire il mandato d’arresto della Cpi.
La versione ufficiale di Nordio – ripetuta in Aula – parla chiaro: l’ufficio è stato informato “solo lunedì 20 gennaio”. Ma agli atti dell’inchiesta c’è una mail inviata già domenica 19, alle 12.37, da un funzionario dell’Interpol al Ministero. Nella catena di messaggi, si fa anche esplicito riferimento alla conversazione su Signal, app di messaggistica criptata. La comunicazione è chiarissima: si sapeva tutto, e da ore.
Ma c’è di più. Giusi Bartolozzi, potentissima capa di gabinetto del ministero, quel pomeriggio domenicale scriveva ai suoi collaboratori dando indicazioni precise su come non lasciare tracce scritte, raccomandandosi di non usare mail ma solo canali riservati o la posta cartacea interna. Un comportamento
che oggi viene letto come un tentativo di evitare responsabilità formali. Eppure, qualche funzionario – di fronte alla pressione della Corte d’Appello – aveva preparato una bozza di nuovo arresto. Documento che però è rimasto lettera morta. Perché proprio il gabinetto del ministero, secondo quanto emerge, ha deciso di non inoltrarlo.
Il risultato? Almasri è stato liberato, senza che l’Italia ottemperasse a quanto richiesto dalla Corte penale internazionale. L’uomo accusato di crimini inenarrabili è volato via grazie a un aereo italiano. Una scelta politica. O meglio: un ordine politico. Il fascicolo del Tribunale dei ministri si muove su due binari. Sul primo viaggiano gli indagati “eccellenti”: la premier Giorgia Meloni, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il ministro dell’Interno
Matteo Piantedosi. Ipotizzati i reati di peculato e favoreggiamento, in seguito a un esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti. Un’indagine che potrebbe concludersi con l’archiviazione. Ma sul secondo binario corre il nome di Nordio, che invece rischia seriamente. La procura gli contesta di non aver fatto nulla per trattenere Almasri, omettendo atti dovuti. E ora la sua stessa collaboratrice Bartolozzi – pur sentita finora come testimone – potrebbe presto ritrovarsi nel registro degli indagati.
Il nodo è politico e giudiziario. Perché se anche il Tribunale dei ministri ritenesse di procedere contro Nordio, spetterebbe al Parlamento concedere l’autorizzazione: e, com’è prevedibile, la maggioranza non lo farà mai. Diverso il destino per Bartolozzi, che non gode di alcuna guarentigia e potrebbe essere perseguita dalla procura ordinaria.
Intanto, la Corte penale internazionale ha puntato il dito contro l’Italia. In una nota ufficiale, ha ricordato come il ministero avrebbe potuto correggere l’errore procedurale e trattenere comunque il detenuto. Ma non lo ha fatto. Il sospetto, ormai, è che non lo volesse fare.
Sul fronte politico, la polemica è incandescente. Le opposizioni parlano di governo in default morale e istituzionale. La segretaria del Pd Elly Schlein chiede che Meloni riferisca alle Camere: “Il governo ha mentito, il ministro sapeva fin dal primo giorno”. Giuseppe Conte rincara: “Abbiamo rimpatriato uno stupratore di bambini. E ora abbiamo le prove”. Anche Renzi attacca: “Non mi interessa l’avviso di garanzia, mi preoccupa un governo che mente al Parlamento”.
Nel frattempo, dalla Libia è arrivata la notizia che la procura generale ha emesso un ordine di comparizione per Almasri, riconoscendone la responsabilità nei reati contestati dalla Corte penale internazionale. Ma questo non solleva l’Italia dalle sue responsabilità. Anzi, le aggrava. Resta solo da capire quale sarà l’epilogo. Il Tribunale dei ministri ha terminato il suo lavoro. Le carte ci sono. Le responsabilità anche. Ora, tocca alla politica decidere se mettersi di traverso o fare i conti con un pasticciaccio che nessuno potrà più ignorare.