Raymond Burke, il cardinale dello strascico da 12 metri che Trump vorrebbe sul trono di Pietro
Il presidente USA Donald Trump lo sostiene apertamente come nuovo Papa. Simbolo dell’ala tradizionalista, 76 anni, è anche il cardinale a cui Francesco ha tolto alloggio e stipendio. Difensore dell’abito lungo, della dottrina dura e del Vangelo secondo Benedetto XVI, è oggi il nome più divisivo del Conclave che verrà
Se fosse per Donald Trump, il prossimo Papa avrebbe già un nome, un cognome e uno strascico lungo dodici metri. Raymond Leo Burke, americano, classe 1948, già prefetto della Segnatura apostolica, noto per la sua postura rigida e per i paramenti altrettanto austeri, è tornato prepotentemente al centro del dibattito ecclesiastico. E non per caso.
La morte di Papa Francesco ha riaperto il grande gioco del Conclave, e con esso lo scontro — mai risolto — tra le due anime della Chiesa cattolica: quella progressista, incarnata da Bergoglio, e quella tradizionalista, rimasta orfana del pontificato di Benedetto XVI ma mai davvero silenziosa. Burke è il nome simbolo di questo fronte. E oggi, con il sostegno esplicito del presidente USA, torna sulla scena con tutti i riflettori addosso.
Trump, atteso a Roma sabato per i funerali del Pontefice, avrebbe confidato a più di un collaboratore che il cardinale Burke è «l’uomo giusto per riportare ordine» nella Chiesa. Un endorsement irrituale — e totalmente privo di qualsiasi influenza formale sul Conclave — ma che rende bene il clima di tensione e polarizzazione che aleggia sulla scelta del successore di Francesco.
Burke, per parte sua, non ha mai nascosto le sue posizioni: contro il riconoscimento delle unioni LGBTQ+, contro il divorzio, contro l’aborto, contro la comunione ai divorziati risposati, contro ogni forma di “modernizzazione”. Per lui la dottrina viene prima della misericordia, la forma prima del contenuto. Un pensiero che lo ha reso popolarissimo tra i tradizionalisti. E inviso a Papa Francesco.
Il rapporto tra i due non è mai stato idilliaco. Nel 2023, in una delle decisioni più clamorose del suo pontificato, Bergoglio ha revocato a Burke lo stipendio e l’alloggio vaticano, segno di una rottura ormai insanabile. «È chiaro che non mi vuole in nessuna posizione di leadership», disse allora Burke, «ma non ho mai pensato che mi considerasse un nemico». Parole misurate, ma che lasciavano trasparire un’amarezza profonda.
Eppure, Burke è rimasto a Roma. E da qui ha continuato a far sentire la sua voce. Non solo con articoli e interviste, ma anche con simboli: le sue celebri messe in latino, le apparizioni in cappa magna (il mantello cerimoniale di 12 metri), l’ostentazione di anelli e croci pettorali d’oro. Una liturgia visiva e politica, che non lascia spazio a fraintendimenti.
Nato nel Wisconsin, Burke è stato nominato vescovo nel 1995 da Giovanni Paolo II e promosso da Benedetto XVI a capo del “tribunale supremo” della Chiesa. Il suo legame con Ratzinger è sempre stato forte: condividevano teologia, visione della Chiesa e diffidenza verso le derive del Concilio Vaticano II. È stato uno dei primi a criticare pubblicamente Amoris Laetitia, l’esortazione di Francesco sulla famiglia, e ha guidato il fronte dei “dubia”, le richieste di chiarimento che fecero infuriare il Vaticano.
Ma può davvero diventare Papa? Tecnicamente sì. È cardinale elettore fino agli 80 anni. Ma i pronostici lo danno tra i nomi “difficili”. Troppo divisivo. Troppo legato a una visione considerata da molti superata. Ma non è da escludere che, in un Conclave dominato da tensioni, possa emergere come figura simbolica attorno a cui far convergere i voti dei più conservatori. Più che un vero candidato, un segnale. Una dichiarazione di intenti.
E poi, certo, c’è l’effetto “film”. Dopo l’uscita di Conclave, il film di Edward Berger tratto dal romanzo di Robert Harris, con Sergio Castellitto nei panni del cardinale tedesco in stile-Burke, il pubblico ha imparato a vedere nei corridoi vaticani non solo la fede, ma anche il potere. E Burke, con il suo stile scenografico, sembra uscito direttamente dalla sceneggiatura. Il “cardinale antagonista” perfetto.
Ma la realtà è più complessa. Perché se da un lato c’è chi sogna un ritorno al passato, dall’altro molti vescovi temono una Chiesa che torni a chiudersi. E Burke, con tutto il rispetto per la sua coerenza, è forse troppo icona per essere soluzione. Per ora resta sullo sfondo, tra i possibili, tra gli improbabili, tra i protagonisti comunque. Con il suo strascico da dodici metri, la voce ferma, e un passato che è già leggenda. Ma che potrebbe, clamorosamente, bussare di nuovo alla porta del futuro.