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23/06/2025 ore 22.58
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Razin Caine, il generale che Trump ha voluto a ogni costo: «Signore, sono pronto a uccidere per lei»

Il presidente lo conobbe in Iraq e se ne innamorò: è un uomo d’azione, rude, senza peli sulla lingua. Non ha i requisiti formali, ma ha giurato fedeltà assoluta. Il Senato si piega: è lui il nuovo capo di Stato maggiore congiunto

di Luca Arnaù
Razin Caine

La scena, raccontata mille volte dallo stesso Donald Trump, ha il sapore epico di una pellicola d’azione a basso budget. Una base militare americana in Iraq, il vento del deserto che solleva sabbia, l’aria tesa. E poi lui: un generale di corpo d’armata con lo sguardo deciso, il nome di battaglia “Razin” appuntato sul petto e una frase che rimbomba come un giuramento eterno. «Signore, sono pronto a uccidere per lei». Da quel momento, per Trump, Razin Caine non è più solo un alto ufficiale dell’aeronautica. È l’uomo giusto. L’unico.

Non importa se indossava – o meno – il cappellino rosso “Make America Great Again”, violando ogni regolamento sulla neutralità politica dei militari. Non importa se le sue promesse belliche erano più degne di un film di Michael Bay che di un rapporto del Pentagono. L’effetto era servito: Caine incarnava esattamente ciò che Trump cercava in un comandante. Un uomo d’azione. Un fedele. Uno che parla poco e obbedisce subito.

Così, quando Trump torna alla Casa Bianca per il secondo mandato, la scelta del nuovo capo di Stato maggiore congiunto delle forze armate non è frutto di lunghe consultazioni. Il presidente vuole Caine. Punto. Anche se non ha i requisiti. Anche se la prassi – e la legge – chiederebbero ben altro. Anche se al comando c’è già Charles Q. Brown Jr., un generale esperto, afroamericano, moderato, con posizioni considerate “woke” sui diritti civili e l’inclusione. Ma a Trump, Brown Jr. non piace. E quindi viene cacciato.

Al suo posto sale lui, Razin Caine, cinquantaseienne dal curriculum irregolare, ex pilota di F-16 con oltre 2800 ore di volo, di cui 150 in combattimento. Laureato in economia, cresciuto al Virginia Military Institute, ha girato il mondo tra missioni operative e incarichi speciali: dall’Iraq alla CIA, passando per lo US Special Operations Command. Nel 2003 progettò il piano per contrastare i missili Scud durante l’invasione dell’Iraq, e da allora si è costruito una carriera tra muscoli e silenzi.

Ma non basta una carriera militare per diventare il numero uno del Pentagono. Serve anche il via libera del Senato. E qui le cose si complicano. La nomina avviene nel cuore della notte del 6 aprile, a Camere quasi vuote per le vacanze di Pasqua e Pesach: 60 voti favorevoli, 25 contrari, 15 assenti. Un’approvazione tiepida, inusuale per una carica così alta, che normalmente sfiora l’unanimità. Ma abbastanza per superare l’ostacolo. Soprattutto grazie ai voti di 15 senatori democratici centristi, che decidono di allinearsi ai repubblicani.

E così, per la prima volta, un presidente impone un generale fuori norma, che non avrebbe potuto ricoprire quell’incarico senza una forzatura legale. Ma Trump lo fa lo stesso. Perché Caine è come lui: insofferente alle regole, refrattario ai compromessi, allergico all’apparato. Anche il nome è tutto un programma. “Raising Cain”, in slang, significa “combinare guai”. E “to raze”, da cui deriva “Razin”, vuol dire “radere al suolo”. Un destino già scritto. Per Trump non esiste profilo più adatto a guidare le forze armate in un’epoca in cui la forza conta più della competenza, la fedeltà più della preparazione.

Caine, dal canto suo, non delude. Evita le conferenze stampa, ignora le polemiche sui suoi titoli, non commenta la frattura creata nelle istituzioni militari. Fa il suo lavoro, dice chi lo conosce, «come un bulldozer»: entra, esegue, passa oltre. Ma il segnale che la sua nomina lancia al resto del mondo è forte. Se anche l’esercito americano, tradizionalmente autonomo e rigoroso, diventa terreno di conquista per le lealtà personali, allora qualcosa si è rotto. La democrazia, forse. O almeno quella linea sottile che separa il potere civile dal potere delle armi. E in tutto questo, la frase «sono pronto a uccidere per lei» risuona più inquietante che mai.