Regionali, Meloni teme il flop e apre al terzo mandato per i governatori
Dietrofront di Fratelli d’Italia: «Siamo pronti a discuterne». Ma resta lo stop della Consulta. Forza Italia chiede candidati civici in Campania e a Milano. La premier sul referendum: «L’astensione è un diritto»
Le recenti elezioni comunali, con la sconfitta simbolicamente pesante a Genova, hanno acceso una spia nel centrodestra: il vero rischio politico sono le elezioni regionali. Giorgia Meloni lo ha compreso chiaramente, tanto da dedicare a questo tema l’intera riunione dell’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia. Due i nodi principali al centro del confronto: la distribuzione delle candidature tra gli alleati e la questione, ancora irrisolta, del terzo mandato.
Nel peggiore degli scenari, si profila una nuova ondata favorevole al centrosinistra in quattro delle cinque regioni chiamate al voto: Campania, Toscana, Puglia e Marche. Al centrodestra resterebbe solo il Veneto, roccaforte leghista. Sul tema, la presidente del Consiglio ha voluto rassicurare la coalizione, intervenendo dal palco della festa del quotidiano La Verità: «Si vota per cinque regioni, se dovessimo calcolare questo come un metro oggettivo devo ricordare che siamo attualmente 11 a 3». Ha poi ribadito che l’esito delle regionali «non sarà un elemento dirimente per la tenuta della legislatura».
Meloni e il referendum: «Non votare è un mio diritto»
Nel suo intervento, Meloni ha anche rivendicato la scelta di astenersi al referendum, pur recandosi al seggio: «Perché sono un presidente del Consiglio e penso sia giusto dare un segnale di rispetto nei confronti delle urne», ha spiegato. «Non condivido i contenuti dei referendum e quando non si condividono c’è anche l’opzione dell’astensione. Non votare è un mio diritto».
Fratelli d’Italia apre sul terzo mandato dei governatori
Ma se sulla durata della legislatura c'è convergenza tra gli alleati, sulle scelte da compiere in vista delle regionali le divisioni si fanno evidenti. In primis, Fratelli d’Italia non ha alcuna intenzione di trasformarsi nel capro espiatorio di eventuali sconfitte. Come ha sintetizzato Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione del partito: «Nessuna preclusione ideologica sul terzo mandato, se viene posto dalle regioni. Noi abbiamo detto solo che serve una riflessione nazionale ed è sbagliato che ogni regione scelga per sé».
Una dichiarazione che ridimensiona la posizione di Matteo Salvini, sempre più deciso a ottenere la candidatura in Veneto e a sostenere la continuità amministrativa: «Squadra che vince non si cambia», ripete spesso. Ma sul possibile nuovo mandato di Luca Zaia, la questione è tutt’altro che chiusa. La Corte costituzionale ha già respinto la legge campana sul terzo mandato, mentre il governo ha impugnato quella della provincia autonoma di Trento. La linea indicata dalla Consulta resta chiara: per cambiare le regole sui mandati serve una modifica della legge ordinaria. E questa può arrivare solo da un’iniziativa delle Regioni, non dal Parlamento o dall’esecutivo. A oggi, però, nessun presidente ha formalmente aperto la partita.
Le candidature alle Regionali
C'è poi il tema delle candidature vere e proprie. Su questo, Fratelli d’Italia mostra un atteggiamento più pragmatico rispetto al passato. «Vogliamo mettere in ogni regione il miglior candidato possibile e siamo sicuri che faranno così anche gli alleati, che in proporzione al peso elettorale sicuramente hanno più regioni di noi», è la puntualizzazione uscita dal vertice. «Non ci mettiamo a fare il Cencelli e ci aspettiamo che non lo facciano nemmeno gli alleati». In altre parole: sì a trattative, no a spartizioni cieche.
Il fermento è tangibile anche tra gli altri partner della coalizione. Salvini e Tajani sono al lavoro per recuperare il tempo perduto. Dall’interno del governo arriva una sensazione diffusa: si è in ritardo. Non c’è ancora stato un vertice tra i leader e, com’è noto, nessuna decisione potrà essere presa davvero a livello territoriale senza un accordo maturato a Roma. A dirlo chiaramente è lo stesso Salvini: «Ogni giorno che passa senza una decisione condivisa sui candidati alle regionali è un’occasione persa per il centrodestra». Per ora, l’unica certezza per la Lega è la richiesta del Veneto.
Trattative nel vivo dopo il referendum
Nel frattempo, da Fratelli d’Italia filtra una disponibilità a cedere la regione simbolo del Nord, ma a patto che venga accompagnata da contropartite politiche ben precise. Tutto dovrebbe entrare nel vivo dopo l’8 e 9 giugno, quando si concluderà il referendum. Da lunedì, ogni giorno potrebbe essere utile per convocare un vertice.
In questo mosaico di tensioni e attese, Forza Italia si muove fuori dal coro. Antonio Tajani ha lanciato una proposta inedita per la coalizione: candidati civici, parola che nel centrodestra evoca i fallimenti delle comunali a Roma e Milano. Eppure, Tajani non ha esitato: «Per noi la scelta giusta dovrebbe essere quella di un civico», sia in Campania sia a Milano.
Il partito azzurro punta con decisione alla Campania, dove secondo il vicecoordinatore regionale Gianfranco Librandi «l’obiettivo è arrivare al 20 per cento». I nomi in ballo sono quattro: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, il coordinatore della Zes unica del Mezzogiorno Giosy Romano, e un quarto nome ancora riservato.
Niente da fare, quindi, per Edmondo Cirielli, sottosegretario meloniano che però non ha abbandonato le proprie ambizioni. Anche su Milano, Forza Italia intende pesare: «La scelta migliore è quella di un civico, certamente di area e di centro», ha detto ancora Tajani, mettendo in discussione la candidatura di Maurizio Lupi, sostenuta da Ignazio La Russa per dare un segnale di riconoscimento a Noi moderati. Un equilibrio precario, in attesa della partita vera: quella nei territori.