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03/11/2025 ore 15.15
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Report sfida la diffida di Ghiglia e manda in onda le chat: nel mirino il consigliere del Garante

Nonostante il tentativo di bloccare la puntata, la trasmissione di Ranucci mostra nuovi messaggi interni all’ufficio di Agostino Ghiglia, che avrebbe anticipato una visita a via della Scrofa prima di una decisione delicata sul caso Sangiuliano

di Luca Arnaù
Sigfrido Ranucci

La linea è quella del confronto frontale, senza arretramenti. Report non si ferma davanti alla diffida inviata da Agostino Ghiglia, membro del Garante della Privacy ed ex dirigente di Fratelli d’Italia, e va in onda con nuove rivelazioni che alimentano un caso politico in piena regola. Nel mirino c’è il confine, sempre più sottile, tra ruolo istituzionale e appartenenza politica: un confine che, secondo la trasmissione, sarebbe stato oltrepassato.

La puntata si apre proprio sulla diffida. Ghiglia sosteneva che il programma avrebbe ottenuto materiale privato attraverso un accesso illecito. Ranucci risponde con fermezza: nessuna intrusione, nessun hackeraggio, nessun colpo basso. «Chi parla di sistemi violati cerca solo di mettere paura. Qui c’è il tentativo di bloccare un’inchiesta giornalistica», afferma il conduttore, evocando un tema sensibile: il rischio che una figura regolatoria provi a zittire l’informazione che dovrebbe garantire.

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Poi arrivano i messaggi. Nella chat dell’ufficio di Ghiglia appare quella frase già destinata a diventare simbolica: «Vado da Arianna». Il giorno prima di una decisione sul caso riguardante il ministro Sangiuliano, il consigliere avrebbe anticipato un passaggio in via della Scrofa. Report interpreta quel “Arianna” come Arianna Meloni, figura centrale nella macchina del partito e sorella della premier. Ghiglia ribatte, stavolta con un tono quasi seccato: «Quando dico Arianna intendo via della Scrofa. E comunque anche se fossi andato da lei, chi me lo impedisce?». La domanda resta sospesa. Non è un’ammissione, ma nemmeno una smentita. È il riflesso di una linea difensiva che punta sull’idea di libertà individuale, contro l'ombra del condizionamento politico.

Il servizio si sposta poi sulla casa della presidente del Consiglio, alle ristrutturazioni e alla presunta volontà del consigliere di capire «se qualcosa si può coprire». Ghiglia parla di «caso di scuola», un esercizio tecnico. Ma nella narrazione di Report, quel passaggio suona come un intervento preventivo a tutela della premier. Non un reato, certo. Ma un gesto che, in un Paese ipersensibile ai legami tra potere e organi di garanzia, solleva più di un interrogativo.

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Stesso schema per il libro Fratelli di chat, che raccoglie messaggi interni a FdI e ha scatenato tensioni dentro e fuori il partito. Ghiglia chiede chiarimenti agli uffici, arriva un ammonimento all’editore. Il consigliere assicura: nessun tentativo di censura. Report mostra la sequenza e lascia parlare il sottotesto. In mezzo, anche il caso Fanpage su Gioventù Nazionale, con Ghiglia che chiede ulteriori verifiche nonostante la proposta di archiviazione degli uffici. Sempre per dovere istituzionale, dice lui. Sempre a difesa della trasparenza, sostiene. Eppure, nell’intreccio delle azioni, appare un filo: quando una vicenda coinvolge il partito di riferimento, il consigliere non resta mai sullo sfondo.

Ghiglia, intanto, rilancia: «Sono stato pedinato. Hanno violato la mia corrispondenza». Chiede un confronto pubblico con Ranucci, prova a ribaltare il frame: non è lui l’inquisito, ma la trasmissione che si spinge troppo oltre. Un gioco di specchi che alimenta la tensione istituzionale. Dall’opposizione arrivano accuse pesanti, con Pd, M5S e Avs che invocano le dimissioni immediate. La maggioranza tace, per ora, osservando: la vicenda riguarda un proprio uomo nelle istituzioni e l’esito politico non è scontato.

C’è una cosa che resta più di tutto, al netto delle schermaglie. È la domanda su cosa debba essere un’autorità indipendente, e quanto un suo membro possa muoversi dentro e attorno a un partito senza incrinare la fiducia pubblica. Non è solo un tema di legalità, ma di opportunità, credibilità, percezione. In un Paese dove i nervi sul rapporto tra stampa e potere sono già scoperti, il rischio è che ogni ombra si trasformi in un macigno.

E così, mentre le carte volano e le frasi diventano materia di scontro politico, la scena resta aperta. Da una parte un consigliere che rivendica libertà di giudizio e di movimento. Dall’altra un programma che rivendica il diritto – e il dovere – di mostrare ciò che vede. In mezzo, un’istituzione delicata e un Paese che guarda. Non esattamente uno scenario neutro. E difficilmente l’ultimo capitolo.