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27/06/2025 ore 22.04
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Massacrò padre, madre e fratellino con 108 coltellate a Paderno Dugnano. Oggi la condanna del Tribunale per i minorenni

La giudice non ha riconosciuto il vizio parziale di mente, pur accertato da una perizia. Ma ha concesso attenuanti generiche. La difesa: «Sentenza durissima. Faremo ricorso»

di Luca Arnaù

«Volevo proprio cancellare tutta la mia vita di prima. Volevo essere immortale, uccidendoli avrei potuto vivere in modo libero». Così Riccardo Chiarioni, 17 anni all’epoca dei fatti, spiegava il triplice omicidio della madre, del padre e del fratellino dodicenne nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024. Oggi, a distanza di quasi dieci mesi, il Tribunale per i minorenni lo ha condannato a vent’anni di reclusione.

Una pena pesante, la più alta prevista per un minore. La sentenza è stata pronunciata dalla giudice Paola Ghezzi al termine di un lungo pomeriggio di camera di consiglio. I pubblici ministeri Sabrina Ditaranto ed Elisa Salatino avevano chiesto la stessa pena, ritenendo che le aggravanti – tra cui la premeditazione – dovessero prevalere sul vizio parziale di mente, riconosciuto da una perizia psichiatrica.

Ma la giudice ha seguito una via diversa: non ha riconosciuto il vizio parziale di mente, pur accertato da una perizia tecnica, e ha invece concesso le attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate. Il risultato è lo stesso: vent’anni. Ma non per le stesse ragioni della Procura. E non senza polemiche.

Era il compleanno del padre Fabio, 51 anni. In casa, nella villetta di Paderno Dugnano, si era da poco conclusa una cena di famiglia. Quella notte, Riccardo colpì per primo il fratellino nel sonno. Le urla del bambino svegliarono i genitori. La madre Daniela, 48 anni, corse in camera: fu colpita con ferocia. Poi, mentre cercava di soccorrere il figlio, anche il padre fu aggredito alle spalle. In tutto, 108 coltellate. Una mattanza.

A raccontare la ricostruzione è la stessa voce dell’imputato, che nel verbale disse di sentirsi da tempo «estraneo rispetto al mondo», in preda a un «malessere» che si era aggravato in estate. «È stata la sera della festa che ho pensato di farlo», avrebbe poi ammesso davanti alla gip Laura Margherita Pietrasanta.

Il ragazzo, arrestato poco dopo, è stato rinchiuso nel carcere minorile di Firenze e processato con rito abbreviato per omicidio volontario pluriaggravato.

Il suo avvocato, Amedeo Rizza, ha sempre sostenuto l’infermità mentale del ragazzo. Ha chiesto il proscioglimento per incapacità totale o, in subordine, una pena che tenesse conto del vizio parziale e delle attenuanti. Per la difesa, il giovane viveva «tra realtà e fantasia», convinto di dover eliminare i suoi affetti per raggiungere «un mondo di immortalità».

Una convinzione radicata, secondo la perizia depositata il 14 marzo dallo psichiatra Franco Martelli, che descriveva un quadro clinico di parziale incapacità di intendere e volere. Anche la difesa aveva nominato un proprio consulente, Marco Mollica, arrivando addirittura a diagnosticare un vizio totale di mente.

Nonostante tutto, la giudice Ghezzi non ha accolto questa linea. Dopo quasi dieci ore di camera di consiglio, ha scelto una soluzione intermedia: attenuanti generiche sì, vizio di mente no. Una decisione che ha spiazzato la difesa.

«È stata una sentenza durissima che non posso accettare e che impugnerò», ha dichiarato l’avvocato Rizza all’uscita dall’aula. «La gravità del fatto non è in discussione, ma non credo si possa arrivare a dare vent’anni, il massimo della pena, con il riconoscimento di due attenuanti generiche. Ricorrerò anche per il mancato riconoscimento del vizio di mente parziale».

E ha aggiunto: «Quando è uscito dall’aula e ha visto i parenti, è crollato».

Il ragazzo, oggi maggiorenne, ha già iniziato un percorso terapeutico. Il Tribunale per i minorenni ha infatti disposto settimane fa cure specifiche e un programma di recupero psicologico e psichiatrico. Resta da capire ora se, dopo la sentenza, verranno ricalibrate le misure detentive e assistenziali.

Una cosa è certa: la storia di Riccardo Chiarioni scuote nel profondo. Per l’orrore dell’azione. Per la giovane età. Per quel delirio allucinato che l’ha portato a credere che «uccidendo tutta la sua famiglia» avrebbe potuto essere «libero». Un’illusione tragica, che ora si scontra con vent’anni di carcere. E una verità che nessun processo potrà cambiare: i suoi genitori e il fratellino non torneranno più.