Russia alle porte di Sumy, Lavrov accusa l’Occidente: l’Europa rischia una nuova crisi multilivello
Mosca si prepara a colpire l’Ucraina e schiera 50mila uomini in una “fascia di sicurezza” nel Nord del Paese. Il ministro degli esteri mette nel mirino Ue e Usa: «Spingono per un cambio di regime a Belgrado». La tensione è altissima
La tensione si alza nel nord dell’Ucraina, dove secondo il Wall Street Journal la Russia avrebbe concentrato circa 50.000 soldati a meno di 20 chilometri da Sumy, capoluogo dell’omonima regione. L’obiettivo dichiarato da Mosca è la creazione di una “fascia di sicurezza” a tutela della regione russa di Kursk, già coinvolta in incursioni da parte delle forze di Kiev.
Dieci giorni fa, al Forum economico di San Pietroburgo, Vladimir Putin aveva dichiarato di non escludere un’azione militare su Sumy, nonostante non fosse tra gli obiettivi ufficiali. Con un rapporto di forze di 3 a 1 a favore dei russi, la città potrebbe essere al centro della prossima offensiva.
La diplomazia si muove, ma la guerra prosegue
Intanto, a sorpresa, è giunto a Kiev il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul, che ha accusato Putin di voler ottenere una resa totale da parte dell’Ucraina, non un negoziato. Sulla stessa linea anche il ministro italiano Antonio Tajani, che ha dichiarato a Canale 5: «Putin non vuole la pace, continuerà la guerra. Nessun cessate il fuoco prima del 2025».
In controtendenza invece Donald Trump, secondo il quale i bassi prezzi del petrolio potrebbero spingere Mosca verso una tregua. Tuttavia, il senatore repubblicano Lindsay Graham ha dichiarato che proprio Trump avrebbe dato il via libera a una legge per nuove sanzioni contro la Russia, compresi dazi del 500% su chi continua a comprare petrolio russo, come Cina e India.
Nuova ondata di attacchi russi in Ucraina: centinaia di missili e droni. Zelensky: «Mosca non si fermerà»Il fronte serbo si infiamma, Lavrov attacca l’Occidente
Mentre il conflitto ucraino prosegue, si riaccendono tensioni anche nei Balcani. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha accusato l’Occidente di fomentare rivolte in Serbia, paragonandole alle “rivoluzioni colorate” che avrebbero destabilizzato governi in Georgia e Ucraina. A rincarare la dose ci ha pensato il governo ungherese, che ha parlato apertamente di un tentativo occidentale di sovvertire i governi sovranisti dell’Europa centrale.
Netta la risposta di Bruxelles: nessuna ingerenza nelle proteste antigovernative. Ma a Belgrado le piazze si riempiono da mesi: centinaia di migliaia di manifestanti chiedono elezioni anticipate dopo lo scandalo della pensilina crollata a Novi Sad, che ha provocato 16 morti. Il sistema di potere del presidente Vučić appare ora in seria difficoltà.
Vučić si riavvicina a Mosca, mentre Trump osserva
Aleksandar Vučić, da 13 anni al potere, aveva preso le distanze da Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina, ma nelle ultime settimane ha ripreso i contatti, culminati nella partecipazione alla parata del 9 maggio a Mosca. La Serbia resta legata alla Russia anche per il non riconoscimento del Kosovo.
Ora, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e le difficoltà interne stanno aprendo nuovi scenari per Belgrado. Sibillino il presidente Usa che qualche giorno fa ha rivelato: «La Serbia stava per scontrarsi con il Kosovo - ha raccontato - ma noi l'abbiamo fermata».