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04/08/2025 ore 20.32
Italia Mondo

Matteo Salvini, Sydney Sweeney e il teatro dei jeans: quando la politica italiana fa da spalla ai trend di TikTok

Il ministro dei Trasporti trasforma un banale spot di American Eagle in un caso, usando i social come palcoscenico e gli algoritmi come regia

di Luca Arnaù

L’estate italiana, si sa, porta con sé la leggerezza dei tormentoni. C’è chi si accontenta di un ritornello reggaeton, e chi preferisce una polemica social pronta all’uso. Matteo Salvini appartiene senza dubbio alla seconda categoria: da anni ha sostituito gli slogan urlati in piazza con post studiati per l’algoritmo, capaci di cavalcare ogni fiammata del web.

L’ultimo episodio arriva da oltreoceano, dove un paio di jeans ha scatenato una guerra culturale degna di un manuale di sociologia digitale. Protagonista: Sydney Sweeney, 27 anni, attrice bionda dagli occhi blu elettrici, consacrata dalla serie Euphoria. Colpevole – si fa per dire – di aver girato una pubblicità per il brand American Eagle in cui un gioco di parole tra “jeans” e “genes” diventa il cuore della campagna: «I geni si ereditano dai genitori… i miei jeans sono blu», sussurra lei in un tono che oscilla tra l’Asmr e la Lolita pop.

Negli Stati Uniti la reazione è stata immediata: i social liberal hanno letto nello spot un richiamo inquietante alla purezza razziale e ai fantasmi della propaganda suprematista. La destra conservatrice, invece, ha applaudito Sweeney come icona “anti-woke”, pronta a restituire al Paese una bellezza tradizionale, bianca e ammiccante. Insomma, la solita guerra di trincea culturale, giocata più sugli schermi degli smartphone che nella realtà.

Ed ecco che entra in scena Salvini. Il ministro dei Trasporti, in pausa dalle sue celebri incursioni tra meloni e zucchine dell’orto social, intercetta il trend e decide di tuffarcisi. Posta il video della campagna sul suo profilo da due milioni e mezzo di follower e scrive: «Sinistra e femministe lo hanno definito persino “fascista” e stereotipato. Solo a me sembrano reazioni folli?».

Il meccanismo è collaudato. Funziona così: si prende un tema che divide, meglio se superficiale ma capace di far scattare emozioni primarie, lo si decontestualizza e lo si rilancia con una domanda apparentemente innocua. Poi si lascia che il pubblico faccia il resto. In poche ore, ecco centinaia di commenti, condivisioni, insulti e meme. Non importa più se l’oggetto della polemica sia un’infrastruttura ferroviaria o il colore degli occhi di un’attrice americana: l’importante è occupare spazio nel flusso infinito dei contenuti.

La vicenda Sweeney-American Eagle diventa così la perfetta parabola del populismo digitale contemporaneo. Da una parte c’è un’attrice che, consapevolmente o meno, alimenta la macchina dell’attenzione globale; dall’altra un politico italiano che usa quel pretesto per rafforzare la propria immagine di commentatore popolare, vicino al “sentire comune” contro i “radical chic” indignati. In mezzo, noi utenti, che ci ritroviamo a discutere animatamente di un paio di jeans piuttosto anonimi come se fosse in gioco il destino dell’Occidente.

Non è la prima volta che la pubblicità flirta con il confine del provocatorio. Negli anni Ottanta, Brooke Shields sussurrava «You wanna know what comes between me and my Calvins? Nothing», scatenando scandali e interrogazioni morali. Oggi basta un’inquadratura studiata e un claim ammiccante per innescare una shitstorm globale. La differenza è che, nell’era dei social, il ciclo di vita della polemica è rapidissimo: nasce, si gonfia, diventa trending e poi scompare, lasciando dietro di sé solo un nuovo strato di radicalizzazione e un mucchio di meme.

Il punto non è stabilire se lo spot di American Eagle sia davvero propaganda reazionaria o solo un’astuta operazione di marketing. Il punto è capire perché siamo tutti pronti a infiammare i nostri feed per questioni così marginali. Salvini lo sa bene: la politica di oggi vive di visibilità costante, e ogni occasione per polarizzare è preziosa. Un giorno è un post sul pesto ligure, quello dopo è un video di Sydney Sweeney.

Alla fine, resta un’unica certezza: gli algoritmi hanno vinto. Hanno trasformato i social in un’arena in cui la politica e la pubblicità ballano insieme, inseguendo like e indignazioni lampo. Salvini, con la sua abilità di surfare sul nulla apparente, non fa che mostrarci quanto fragile e spettacolare sia diventata la comunicazione pubblica.

E mentre i treni continuano a sfrecciare in ritardo e i cantieri attendono risposte concrete, la timeline del ministro si arricchisce di un nuovo trofeo estivo: un paio di jeans blu, una bionda sorridente e milioni di visualizzazioni.