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25/06/2025 ore 07.35
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Sanremo vuole più soldi: le etichette minacciano l’addio al Festival già dal 2026

Il Comune ligure chiede 6,5 milioni annui alla Rai più una percentuale sugli introiti. L’industria discografica: «Così non ci stiamo»

di Luca Arnaù

Il Festival di Sanremo è sempre stato il grande spettacolo che mette d’accordo tutti. Tutti tranne chi lo paga. Dietro le luci dell’Ariston e i record di share si nasconde un malcontento crescente, che ora rischia di esplodere in modo clamoroso. Al centro del caso, la nuova richiesta economica avanzata dal Comune di Sanremo alla Rai: 6,5 milioni annui più una percentuale su tutti gli incassi pubblicitari e commerciali legati al marchio Festival.

Una cifra mai vista, imposta tramite il bando per l’assegnazione della prossima edizione della kermesse, a cui – inutile dirlo – ha partecipato solo la tv di Stato. Il bando è vincolante, nero su bianco, e prevede non solo l’aumento del corrispettivo fisso (fino al 2023 era 5 milioni, saliti a 5,3 nelle ultime due edizioni), ma anche un diritto di partecipazione su qualunque introito futuro, dal televoto al merchandising, dalle piattaforme online alla pubblicità. Il Comune pretende la sua fetta di torta. E non è una fettina.

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Un colpo che ha fatto saltare la mosca al naso alla FIMI, la Federazione dell’industria musicale italiana. Il suo Ceo, Enzo Mazza, è tranchant: “Se la Rai accetta queste condizioni, le etichette sono pronte a tirarsi indietro. Non possiamo continuare a sostenere un evento in cui l’unico a guadagnare, senza investire nulla, è il Comune di Sanremo”.

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Il tono è di quelli che non lasciano spazio ai fraintendimenti. Mazza parla di festival economicamente insostenibile: “Le aziende discografiche ci riferiscono che appena mettono piede a Sanremo sono già in perdita. Tra alberghi, uffici stampa, stylist, logistica, un artista può arrivare a costare fino a 120 mila euro, a fronte di un rimborso Rai di circa 65 mila euro. Se poi la Rai dovesse dirottare altri fondi verso il Comune, sarebbe l’assurdo: si toglierebbero risorse a chi davvero manda avanti l’evento”.

È una bomba a orologeria. Anche perché, numeri alla mano, i benefici per la città sono enormi. In quei sette giorni di febbraio, Sanremo registra un indotto milionario: turismo, ristorazione, hotel, trasporti, visibilità internazionale. Ma, sostiene Mazza, “la città non investe nulla. Si limita a incassare e a sfruttare il traino promozionale. È l’unica realtà, tra le grandi manifestazioni culturali italiane, a non contribuire economicamente alla macchina organizzativa”.

In pratica, secondo FIMI, Sanremo è diventata un ospite che affitta casa sua a caro prezzo, pretende anche una parte delle entrate degli invitati, e alla festa non porta neppure il vino. Una posizione che potrebbe costare cara alla manifestazione se davvero le major decidessero di ritirarsi: “Il rischio non è remoto – continua Mazza –. Gli investimenti sono cresciuti, ma i ritorni sono sempre più lontani.

Dopo Sanremo, i tour si vendono meglio, certo, ma non basta a giustificare l’impennata di costi. La Rai dovrebbe invece destinare quelle risorse direttamente alle etichette, aumentando i rimborsi per la partecipazione. Soldi che comunque finiscono nella città, tra hotel e ristoranti”. Il clima è teso, e il 2026 potrebbe essere l’anno della rottura. Se il contratto tra Rai e Comune dovesse restare invariato, senza un riequilibrio degli investimenti, i big della musica potrebbero dire basta, lasciando il palco a produzioni più piccole, o peggio, a un Festival depotenziato.

Il problema non è solo di numeri, ma di modello. “Chi porta le canzoni, paga le band, gli stylist, gli alberghi, sono le etichette. Chi ci guadagna davvero, senza produrre nulla, è Sanremo” – insiste Mazza. “Basta con la retorica della città del Festival. O si cambia strada, o noi cambiamo Festival”.

Un ultimatum non da poco, che apre un fronte nuovo e inedito nel grande show dell’Ariston. Perché, forse per la prima volta, l’industria discografica sta facendo capire che Sanremo – il Festival – può anche andare avanti. Ma senza Sanremo – la città – se continua così, può farlo anche altrove.