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13/09/2025 ore 20.00
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Ranucci verso l’addio alla Rai: il futuro parla La7. Ombre e accuse sull’inchiesta che ha smontato la pax televisiva

Dal 28 ottobre tornerà con Report su Rai3, ma più fonti raccontano di una redazione smantellata e di un clima diventato invivibile. Cairo avrebbe pronto un progetto “da factory” per il giornalista, mentre dall’altra parte cresce la paura di perdere la punta di diamante

di Luca Arnaù

Se il passaggio andrà in porto, sarà la prossima stagione. Per ora Sigfrido Ranucci rientra in onda il 28 ottobre su Rai3 con il suo Report. Ma – come anticipato proprio da LaC News24 - dietro le quinte, il rapporto con Viale Mazzini sembra agli sgoccioli. Una lenta erosione, fatta di decisioni editoriali contestate, repliche tagliate, redazione svuotata e un clima che, secondo chi lo conosce bene, ha reso “impossibile” il lavoro quotidiano. La squadra che per anni ha costruito il più importante programma di inchieste della tv pubblica è oggi ridotta all’osso.

Il primo nodo è stata la collocazione delle puntate, determinata dall’allora direttore dell’Intrattenimento Stefano Coletta, senza difesa da parte del direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini. Poi i tagli: meno episodi in stagione, riduzione delle repliche estive, scarsa valorizzazione della redazione. A Napoli, durante la presentazione dei palinsesti, Ranucci aveva protestato pubblicamente per difendere il programma. Ma la frattura con i vertici non si è mai ricomposta.

E così, mentre in Rai cresce l’incertezza, Urbano Cairo si sarebbe fatto avanti con un’offerta ambiziosa: un progetto editoriale a tutto tondo, che includerebbe non solo Report in versione La7, ma anche libri, instant book, nuovi programmi. Una vera e propria factory. L’editore ha già dimostrato di saper puntare forte sull’informazione, e un colpo del genere rafforzerebbe ulteriormente la sua rete sul fronte dell’approfondimento.

La notizia ha acceso le reazioni politiche. La presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia, non usa giri di parole: «Se davvero la Rai dovesse perdere Sigfrido Ranucci, saremmo di fronte a un segnale devastante: lo smantellamento progressivo del servizio pubblico e l’appiattimento totale dell’informazione ai desiderata del governo Meloni. È la conferma di una deriva in cui professionalità e indipendenza vengono sacrificate sull’altare del controllo politico».

Floridia elenca quella che definisce «una lunga lista di ostacoli messi sulla strada di Report»: riduzione delle puntate, taglio delle repliche, controprogrammazione, moniti disciplinari, precari spostati nelle sedi regionali svuotando redazioni centrali. «Tutto questo», aggiunge, «mentre il programma continuava a registrare ascolti altissimi e a rappresentare un punto di riferimento del giornalismo d’inchiesta».

Anche il consigliere di amministrazione Rai Roberto Natale lancia l’allarme: «Il servizio pubblico deve continuare a essere la casa di Ranucci. È impensabile che la Rai si privi di una delle sue voci più apprezzate, che tiene alta la tradizione dell’inchiesta nonostante gli attacchi politici. Sono certo che Sigfrido, da sempre tifoso del servizio pubblico, non vorrà ammainare la bandiera di una vita».

Il Cdr del Tg3, in una nota, parla di «preoccupazione profonda» e chiede all’azienda di «dare a Ranucci e alla sua squadra le migliori condizioni di lavoro, salvaguardando libertà e indipendenza». Parole che risuonano come un appello estremo a un’azienda che, secondo i sindacati, avrebbe scelto la via dell’isolamento piuttosto che della valorizzazione.

Durissimo anche il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani: «Nei confronti di Ranucci è stata adottata una strategia precisa: non potendolo licenziare, i vertici Rai hanno lavorato ogni giorno per rendergli impossibile il lavoro. Invece di agevolarlo, incentivarlo e valorizzarlo, come sarebbe doveroso, hanno creato condizioni per indurlo ad andare via».

Nel frattempo, le pressioni non arrivano solo dai corridoi di Viale Mazzini. Negli ultimi anni Report è stato bersaglio costante di attacchi politici: ministri e parlamentari che ne hanno messo in discussione la linea editoriale, fino al caso unico al mondo di un partito intero – Fratelli d’Italia – che ha querelato una trasmissione televisiva. Una guerra a distanza, combattuta con comunicati e querele, che ha logorato il programma e il suo conduttore.

Ranucci non commenta ufficialmente. Si limita a confermare che Report tornerà con nuove puntate e nuove inchieste, «fedeli alla missione di sempre». Ma chi gli è vicino racconta un uomo stanco, provato da due anni di conflitto permanente, tra attacchi esterni e silenzi interni.

Il futuro è un’incognita. Se davvero dovesse scegliere La7, il colpo per la Rai sarebbe durissimo: perderebbe non solo un volto storico ma anche il marchio stesso del giornalismo d’inchiesta televisivo. E per la rete di Cairo sarebbe una vittoria strategica, capace di ridefinire gli equilibri dell’informazione in prima serata.

Per ora, resta la certezza di un ritorno il 28 ottobre. Poi sarà il tempo delle scelte. Scelte che diranno molto non solo sul destino di Ranucci, ma sulla direzione del servizio pubblico in un Paese che – almeno a parole – continua a considerare l’inchiesta come un pilastro della democrazia.

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