Ucciso mentre aspettava il pane: la leggenda del calcio palestinese Suleiman Al-Obaid colpito a Rafah
Aveva 41 anni ed era stato la stella della nazionale, soprannominato il “Pelé di Gaza”. È il 66esimo atleta morto dall’inizio del conflitto. Era in fila per ricevere del cibo quando è stato centrato da un raid israeliano
È morto in fila per il pane. Non su un campo da gioco, non in un impianto sportivo, né con la maglia della sua nazionale addosso.
Suleiman Al-Ob aid, leggenda del calcio palestinese, 41 anni, soprannominato il “Pelé della Striscia di Gaza”, è stato ucciso a Rafah da un attacco israeliano mentre si trovava in attesa di ricevere aiuti umanitari. Lo ha denunciato la Palestine Football Association, secondo cui l’attacco avrebbe preso di mira civili in attesa di cibo nel sud dell’enclave.Un’altra morte tra le troppe, in un conflitto che ha ormai trasformato Gaza in un cimitero senza confini. Ma il nome di Suleiman, a differenza di altri, risuona con forza nel mondo dello sport e della memoria collettiva palestinese. Era stato una delle stelle della nazionale, un attaccante con oltre cento gol segnati in carriera, idolo dei tifosi e simbolo di un orgoglio calcistico che sopravviveva nonostante tutto. La sua uccisione, oltre al peso umano e politico, è diventata l’ennesimo capitolo nero di una guerra che spegne vite e spezza anche le passioni.
Secondo il comunicato ufficiale della federazione, Al-Obaid era «una delle stelle più brillanti del calcio palestinese», un talento scoperto giovanissimo tra i vicoli di Al-Shati, uno dei campi profughi più affollati di Gaza. Proprio lì aveva iniziato a giocare con il Khadamat Al-Shati Club, il club del quartiere. Le sue qualità tecniche e la visione di gioco lo avevano poi portato a vestire le maglie dell’Al-Amari Youth Center nella Cisgiordania occupata, e successivamente del Gaza Sports Club, una delle squadre storiche dell’area.
Il momento più alto della sua carriera internazionale arrivò nel 2010, quando segnò il suo primo gol con la nazionale contro lo Yemen durante il campionato della Federazione calcistica dell’Asia occidentale. In seguito prese parte alle qualificazioni per l’Afc Challenge Cup del 2012 e alle eliminatorie per la Coppa del Mondo Fifa 2014. La Palestina venne esclusa dalla competizione, ma la sua figura rimase impressa nei cuori dei tifosi. Era diventato un simbolo: non solo per le sue prodezze, ma per ciò che rappresentava. Un attaccante di Gaza che riusciva a farsi spazio, gol dopo gol, contro ogni avversità.
Nonostante l’interruzione della carriera agonistica e i problemi legati alla mobilità nella Striscia, Suleiman continuava a seguire e sostenere il calcio locale, coinvolto in progetti con i giovani, osservatore tecnico e figura di riferimento per le nuove generazioni. Per questo la sua morte ha colpito duramente anche fuori dai confini palestinesi: numerose sono state le reazioni da parte di calciatori arabi, ex compagni e tifosi.
Il dato fornito dalla Palestine Football Association è impressionante: Suleiman è il 66esimo atleta professionista ucciso dall’inizio della guerra, ma i numeri salgono vertiginosamente se si include tutto il mondo calcistico. Si contano almeno 321 vittime tra tesserati, allenatori, arbitri, dirigenti e membri delle federazioni locali. “Una tragedia nella tragedia”, la definisce la Pfa, che continua a lanciare appelli alla Fifa e alla comunità internazionale.
Le immagini della fila spezzata a Rafah, delle macerie, dei corpi coperti da teli, sono state diffuse da Al Jazeera e rilanciate su tutti i canali arabi. In molti hanno riconosciuto Suleiman solo grazie a una foto recuperata dai documenti, mentre altri non hanno avuto neppure il tempo di realizzare che uno degli eroi sportivi nazionali era finito così. Senza stadio, senza applausi, senza addio.
La notizia è rimbalzata rapidamente anche fuori dal mondo arabo, sollevando reazioni contrastanti. Da un lato il cordoglio per una morte che tocca il cuore del simbolismo sportivo. Dall’altro, il silenzio assordante delle grandi istituzioni calcistiche mondiali, ancora troppo caute — o troppo timorose — per prendere posizione netta in un conflitto così polarizzante.
Ma a Gaza, e per chi conosceva Suleiman, tutto questo ha poco senso. Resta un dolore nudo, senza bandiere, senza sfumature. Il dolore per un uomo che correva tra due pali da ragazzo, e che ora è finito in una fossa comune. Un uomo che con il pallone ai piedi aveva fatto sognare un popolo, e che alla fine è morto mentre aspettava di poter solo mangiare. Nessuna bandiera sul campo, nessuna moviola a correggere il destino. Solo polvere, sangue e silenzio.