Trump era sull’orlo del fallimento: ora nuota nell’oro grazie a criptovalute, affari con emiri e l’enorme potere della Casa Bianca
Secondo il New York Times, nel 2023 il tycoon era sommerso dai debiti. Ora guida un impero rilanciato da bitcoin, accordi con gli sceicchi e una pioggia di dollari
C’era un tempo, neppure troppo lontano, in cui Donald Trump era dato per spacciato. Non politicamente — anche se le cause legali lo perseguitavano come cani da tartufo — ma finanziariamente. Nell’inchiesta pubblicata dal New York Times, basata su documenti giudiziari e contabili presentati nei vari procedimenti a suo carico, il quadro che emerge è devastante: un impero in rovina, piegato da debiti, processi e un colossale crollo di redditività.
Nel 2023, Trump dichiarava di avere 300-400 milioni di dollari in contanti, una cifra che a detta sua testimoniava il buon andamento degli affari. Ma la realtà raccontata nei tribunali era ben diversa: solo cinque anni prima, nel 2018, i ricavi erano stati appena 52 milioni. La Trump Tower di Lower Manhattan rendeva sempre meno. I campi da golf — un tempo fiore all’occhiello del portafoglio immobiliare — avevano perso soci, fascino e valore. In parallelo, il tycoon affrontava una raffica di condanne che lo stavano dissanguando: 355 milioni di dollari da versare allo Stato di New York per frode, altri 88 milioni alla scrittrice Jean Carroll per diffamazione, 600 milioni di dollari accumulati in spese legali e altri 100 milioni in tasse. Il punto di rottura sembrava vicino.
E poi, la svolta. Una doppia, anzi tripla, redenzione imprenditoriale: la nomination repubblicana, la vittoria alle presidenziali e l’ingresso a tutto campo nel mercato delle criptovalute. Un cocktail perfetto che ha ribaltato la storia. Dalla primavera 2024, la Trump Organization è tornata a macinare profitti e alleanze, ridisegnando l’idea stessa di "conflitto d’interessi". Perché, oggi, il presidente degli Stati Uniti d’America è anche l’uomo che controlla, promuove e guadagna da una delle criptovalute più chiacchierate al mondo: il $TRUMP memecoin.
Secondo quanto ricostruito dal NYT, l’ex tycoon ha capitalizzato ogni centimetro del suo ritorno alla Casa Bianca. I rapporti personali con emiri, sceicchi, immobiliaristi e autorità asiatiche si sono trasformati in flussi di denaro. La World Liberty Financial, società di famiglia specializzata in finanza digitale, ha raccolto oltre due miliardi e mezzo di dollari in bitcoin e lanciato il memecoin presidenziale, che da solo ha fruttato circa 350 milioni di dollari nelle prime settimane. Il tutto condito da merchandising a pioggia: bibbie, chitarre, profumi, orologi, gadget patriottici e bandiere MAGA venduti online a milioni di sostenitori.
E non finisce qui. Grazie alla spinta della moneta digitale, la Trump Organization ha lanciato una nuova rete di resort e campi da golf in Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, dove il brand presidenziale è tornato ad avere appeal internazionale. Sono state annunciate due torri gemelle a Riad, un resort in Qatar, investimenti in Vietnam e Serbia, oltre a nuove partnership nel Sud-est asiatico.
A trainare la riscossa, l’appoggio delle monarchie del Golfo. Solo gli Emirati Arabi Uniti hanno investito due miliardi di dollari nella società cripto di famiglia. Eric Trump, figlio del presidente, ha dichiarato che il 2025 «sarà l’anno più forte nella straordinaria storia della Trump Organization». Una storia, oggi, scritta dalla Casa Bianca e da Wall Street in un connubio mai così spregiudicato.
Il problema, naturalmente, sono i conflitti d’interesse. Donald Trump, presidente in carica, guida anche la politica nazionale sulle criptovalute. Le stesse criptovalute da cui la sua famiglia guadagna miliardi. «Un’enorme zona grigia – scrive il NYT – in cui il controllato e il controllore coincidono perfettamente». Non è un caso che le principali testate americane abbiano lanciato l’allarme, parlando di un sistema senza precedenti nella storia democratica americana.
Alla Casa Bianca, però, la portavoce Karoline Leavitt liquida tutto con una frase: «Il presidente rispetta le regole sui conflitti d’interesse. Agisce solo per il bene degli americani». Una formula rassicurante, che però non risolve le domande sollevate: chi vigila su chi governa? E fin dove può spingersi un presidente nella sua personale corsa all’arricchimento?
Intanto, gli oppositori politici sono in allarme. L’attuale scenario potrebbe rappresentare un modello replicabile, in cui chi conquista la presidenza mette il potere esecutivo al servizio delle proprie imprese. Un laboratorio di autocrazia economica travestita da deregulation finanziaria.
Trump, del resto, non lo nasconde. «I miei affari funzionano – ha detto in una recente intervista – e l’America deve imparare da me». È questo il nuovo motto: fare profitto, sempre e comunque. Anche mentre si governa il Paese. Anche quando si dovrebbe rappresentare l’interesse collettivo. Anche se tutto il mondo osserva.
E forse è questo, più delle criptovalute e degli affari con gli emiri, a fare davvero paura: l’idea che un’intera democrazia possa essere piegata al business di una sola famiglia.