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10/04/2025 ore 14.00
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Trump, il 20 aprile e la psicosi legge marziale: paura e sospetti negli Stati Uniti

Il giorno del compleanno di Hitler coincide con il termine per un report sulla crisi migranti. E i social esplodono con teorie sul pugno duro del presidente Usa: possibile invocazione dell’Insurrection Act? Nessun segnale ufficiale, ma sui social si moltiplicano i timori

di Luca Arnaù
Donald Trump

Negli Stati Uniti si torna a parlare di legge marziale. Ma questa volta non è un provvedimento annunciato, bensì un’ipotesi che nasce dai social e si alimenta nel consueto cortocircuito tra sospetti, mezze verità e paure reali. Tutto ruota attorno a una data: il 20 aprile, giorno in cui Donald Trump dovrebbe ricevere un rapporto ufficiale dal Dipartimento della Difesa e da quello della Sicurezza interna sulla crisi migratoria al confine con il Messico.

Una scadenza già fissata da tempo, contenuta in un ordine esecutivo firmato dal presidente il 20 gennaio, giorno del suo ritorno alla Casa Bianca. Il documento prevedeva novanta giorni per la consegna di un’analisi congiunta sulla situazione al confine e su un eventuale ricorso all’Insurrection Act del 1807, la legge federale che consente l’impiego dell’esercito in caso di rivolte o gravi disordini interni.

Ma la coincidenza con il compleanno di Adolf Hitler ha fatto scattare il campanello d’allarme. E sui social, da TikTok a Facebook, sono rimbalzate in poche ore teorie inquietanti: “Trump vuole proclamare la legge marziale proprio il 20 aprile”. Il tono, come spesso accade, oscilla tra il catastrofico e il complottista. Alcuni utenti richiamano addirittura passaggi controversi di dichiarazioni passate del tycoon, quando aveva espresso ammirazione per la “fedeltà” dei generali tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Il riferimento, poco velato, era proprio al Führer.

In realtà, non ci sono elementi concreti che indichino una volontà reale da parte di Trump di proclamare la legge marziale. L’Insurrection Act, pur essendo un atto d’emergenza, non equivale a sospendere le libertà civili né a sostituire i tribunali ordinari con corti militari. Ma resta un segnale forte, simbolicamente pesante, che – se attivato – confermerebbe un approccio muscolare e autoritario alla gestione delle crisi interne.

L’ultima volta che venne invocato fu nel 1992, dopo le rivolte esplose a Los Angeles per il caso Rodney King. Prima ancora, era toccato a presidenti come Lincoln o Grant. In poche parole: non è uno strumento da usare a cuor leggero, e ogni riferimento alla sua possibile attivazione alza il livello di tensione politica.

A rendere il clima più incandescente, ci sono anche gli ultimi sviluppi: l’arresto e l’espulsione di studenti e docenti accusati di antisemitismo nei campus americani, provvedimenti che secondo alcuni analisti potrebbero preludere a un giro di vite più ampio sul dissenso. A fare il resto, le teorie contenute in “Project 2025”, il documento programmatico dell’ultradestra trumpiana che delinea un futuro in cui la presidenza esercita poteri estesi e centralizzati, con un forte ridimensionamento del Congresso e delle agenzie indipendenti.

Per ora, la Casa Bianca non commenta. I media americani trattano l’argomento con cautela, evitando allarmismi ma riconoscendo che la data del 20 aprile, tra scadenze istituzionali e simbolismi inquietanti, sta alimentando una psicosi collettiva. In un’America ancora divisa, polarizzata e carica di rabbia, basta una coincidenza per riaccendere paure profonde.

E anche se nessuno può dire cosa farà davvero Trump il 20 aprile, che molti temano il peggio è già una notizia in sé. Un segno del tempo che viviamo. E della fiducia, sempre più fragile, nelle istituzioni democratiche.