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12/09/2025 ore 18.48
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Trump: «Preso il killer di Kirk». Ma sull’omicidio restano ombre e domande. Le scritte sulle pallottole sono un indizio o un depistaggio?

Il presidente annuncia l’arresto del presunto assassino. Si chiama Tyler Robinson, 22 anni, dello Utah. A convincerlo a costituirsi è stato il padre. Ma la ricostruzione lascia spazi a più di un interrogativo: dalle incisioni trovate sui proiettili alle tracce online su Discord, fino a una dinamica dell’agguato che sembra avere tante zone d’ombra.

di Luca Arnaù

Donald Trump lo ha detto a Fox News con la sicurezza di chi vuole chiudere il caso: «Abbiamo il killer di Charlie. È stato preso, ha confessato». La voce, ferma e solenne, ha segnato la fine di una caccia all’uomo durata meno di 48 ore. Ma se l’annuncio del presidente ha dato all’opinione pubblica un sollievo immediato, l’inchiesta non è affatto finita. E anzi, i dettagli che emergono rischiano di aprire più domande che certezze.

Il sospettato è Tyler Robinson, 22 anni, originario dello Utah. È stato il padre a riconoscerlo nelle foto diffuse dall’Fbi, estrapolate dai filmati di sorveglianza della Utah Valley University. Immagini che mostravano un ragazzo con zaino e cappellino aggirarsi tra gli studenti. Il padre non ha esitato: ha chiamato un pastore per chiedere aiuto e poi lo ha accompagnato in commissariato. Una resa quasi volontaria che – nella narrazione ufficiale – sembra quasi uscita da un manuale di giustizia domestica: il figlio traviato, il padre che lo riporta sulla retta via. Forse troppo lineare per un delitto che ha scosso il Paese?

Secondo le ricostruzioni, Robinson si sarebbe mescolato agli studenti poco prima di mezzogiorno, avrebbe raggiunto un punto sopraelevato e da lì sparato contro l’attivista pro Maga. Charlie Kirk, leader di Turning Point USA, è stato colpito mortalmente intorno alle 12.20. Il campus è piombato nel panico, con migliaia di persone in fuga. Ma la sequenza temporale solleva dubbi: possibile che in quasi mezz’ora nessuno abbia notato movimenti sospetti, un giovane armato che sale su un tetto in pieno giorno? Che viene ripreso e fotografato da più persone?

Omicidio di Charlie Kirk, c’è la foto del sospettato. Continua la caccia all’uomo

Il dettaglio più inquietante riguarda i proiettili. Gli inquirenti hanno trovato scritte incise sul metallo: «Bella ciao, bella ciao ciao ciao» e «Hey fascist». Una firma ideologica che fa discutere. Ma anche qui, le domande si moltiplicano: chi si prenderebbe la briga di incidere slogan su munizioni destinate a essere esplose? È un gesto simbolico, un feticcio da rivendicare, o piuttosto un depistaggio per indirizzare subito l’opinione pubblica verso una matrice politica?

Gli investigatori hanno riferito di messaggi lasciati da Robinson su Discord, in cui avrebbe anticipato l’intenzione di colpire Kirk. Anche questo dettaglio, però, appare fragile: si parla di post «criptici», interpretati solo dopo la tragedia. Non c’è ancora chiarezza su chi li abbia letti, su quando siano stati pubblicati e soprattutto se possano davvero essere considerati un piano premeditato.

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Trump non ha esitato a evocare la pena capitale: «Kirk era una persona eccellente e non meritava di morire così. Spero che l’assassino sia condannato a morte». Parole che suonano più come un verdetto che come un commento a caldo, quando l’indagine è ancora in corso e il processo non è nemmeno iniziato.

Il governatore Spencer Cox ha confermato che Robinson ha confessato davanti agli agenti. Ma cosa ha davvero detto il giovane? E perché solo il padre ha avuto un ruolo determinante nell’arresto, al punto da trasformarsi in protagonista della narrazione pubblica dell’operazione?

C’è poi il contesto. Charlie Kirk era uno degli attivisti conservatori più influenti e divisivi degli Stati Uniti. Per i sostenitori era una voce di riferimento, soprattutto tra i giovani elettori. Per i detrattori un predicatore di odio. Una figura così polarizzante non poteva non diventare terreno di scontro politico. Non sorprende allora che le scritte «Bella ciao» abbiano già incendiato il dibattito: per alcuni sono la prova di un gesto antifascista estremo, per altri un tentativo di colpire simbolicamente un’icona della destra americana. Ma finché non verranno mostrate prove solide, la tentazione di parlare di «firma falsa» resterà forte.

Anche l’Fbi ha fatto la sua parte diffondendo immagini sempre più nitide del sospettato. Quattro frame che mostravano dettagli di abbigliamento e zaino. Ma nonostante la chiarezza, è stato il padre a riconoscerlo per primo. Una coincidenza che lascia intravedere un altro interrogativo: davvero nessuno dei conoscenti, amici, vicini aveva notato somiglianze prima? E secondo la polizia il giovane, quando è stato fermato, indossava ancora gli stessi abiti, la stessa maglietta, lo stesso cappellino. Possibile che non si fosse neppure cambiato con tutta la polizia d’America sulle sue tracce?

Le parole di Kash Patel, direttore dell’Fbi, hanno aggiunto un tono epico: «Al mio amico Charlie Kirk, riposa fratello, ci vediamo nel Valhalla». Un omaggio che sembra voler suggellare una narrativa eroica intorno alla vittima. Ma se il cordoglio è naturale, l’enfasi rischia di oscurare il lavoro investigativo, che invece dovrebbe restare freddo e scrupoloso.

Alla fine, l’impressione è che la verità del caso Kirk sia stata chiusa in fretta in un pacchetto perfetto: il giovane radicalizzato, i messaggi online, i proiettili firmati, il padre che lo consegna. Tutto torna, forse fin troppo. Le indagini continueranno, ma resta la sensazione che l’America di Trump abbia bisogno di una storia rassicurante più che di una verità completa.