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18/06/2025 ore 06.15
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Trump si (auto)proclama «grande mediatore», ma i suoi tentativi di pace sono falliti. E ora minaccia di attaccare l’Iran

Il presidente Usa rivendica successi diplomatici mai avvenuti e affida la politica estera a un immobiliarista: da Gaza all’Ucraina, sei mesi di promesse mancate e crisi aggravate sul piano globale. Fino all’idea portare in guerra l’America contro Teheran

di Redazione Esteri
In Vatican City, President of Ukraine Volodymyr Zelenskyy met with President of the United States of America Donald Trump. The meeting took place one-on-one at St. Peter’s Basilica, where both leaders had arrived to participate in a Mass honoring the memory of Pope Francis.//04SIPA_sipa.0613/Credit:Ukrainian Presidency/SIPA/2504262044

Aveva promesso di mettere d’accordo Putin e Zelensky facendo tacere le armi in Ucraina. Ha giurato di fare da paciere a Gaza trasformando la Striscia nella nuova Costa Azzurra. E nel conflitto iniziato da Israele contro l’Iran si è proposto, tra un’apertura di credito per gli ayatollah e un ultimatum, come problem solver. Ora, invece, minaccia di di entrare in guerra con Israele contro Teheran, pur avendo sempre promesso in campagna elettorale di voler evitare nuovi conflitti per gli Usa. Erratico a dir poco, Donald Trump si autoproclama pacificatore internazionale – lo ha fatto nel corso dell’intervista rilasciata domenica alla tv americana Abc – ma finora non è venuto a capo di nessuna delle seppure complicatissime trattative collegata al caos mondiale. 

Non è un inedito: il presidente Usa ha rivendicato con forza il suo ruolo di pacificatore internazionale. «Nessuno mi ha riconosciuto il merito di essere un grande mediatore», ha affermato il tycoon, ricordando i suoi interventi durante il primo mandato per dirimere tensioni in aree calde del pianeta: dalla disputa tra Serbia e Kosovo, ai rapporti tra Egitto ed Etiopia, fino al conflitto a bassa intensità tra India e Pakistan. Un ruolo che, a suo dire, sarebbe stato esercitato offrendo «incentivi e facilitazioni commerciali» a entrambe le parti. Ma molte di queste ricostruzioni sono state smentite dai diretti interessati: il governo indiano, ad esempio, ha negato qualsiasi mediazione statunitense.

L’uomo dei dossier: non un diplomatico, ma un immobiliarista

La strategia di Trump ha previsto anche l’adozione di un modello alternativo di diplomazia: niente ambasciatori di lungo corso o funzionari con esperienza nelle crisi internazionali. Per gestire le trattative globali, Trump si è affidato a Steve Witkoff, un imprenditore immobiliare appassionato di golf, come lui. Il 68enne si è trovato a trattare con attori del calibro di Vladimir Putin, Volodymyr Zelensky, Benjamin Netanyahu e persino emissari della guida suprema iraniana Ali Khamenei. Ma, a sei mesi dall’inizio del nuovo mandato, il bilancio di questa diplomazia sui generis è desolante: nessun risultato concreto, solo illusioni.

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Ucraina: nessun negoziato, solo propaganda

La crisi ucraina rappresenta il fallimento più evidente della strategia trumpiana. Il presidente americano ha riaperto il dialogo con Putin, ma ha finito per legittimare il Cremlino mettendo sullo stesso piano l’aggressore russo e la vittima ucraina. Dopo una fase iniziale di avvicinamento, Trump ha alternato segnali contraddittori: aperture informali seguite da dichiarazioni bellicose. Il risultato è stato l’impasse totale. I contatti tra Mosca e Kyiv restano confinati a scambi di prigionieri o a microtemi tecnici. Nessun negoziato vero è mai cominciato. Il mix di pressioni e promesse – marchio di fabbrica del trumpismo – si è rivelato inefficace. Quando il segretario di Stato Marco Rubio aveva dichiarato a fine aprile che «questa è la settimana decisiva», l’amministrazione puntava tutto su un accordo imminente. Ma a metà giugno, nulla si è mosso.

Iran, Israele e la crisi fuori controllo

L’altra grande emergenza riguarda la tensione tra Iran e Israele. Formalmente, Trump aveva dato a Teheran 60 giorni per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare. La scadenza è passata – giovedì 12 giugno – senza alcuna svolta. Lo stesso giorno, il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, ha preso una posizione ambigua, segnalando un atteggiamento di cautela e distacco da parte degli Stati Uniti. Di fatto, Washington rischia ora di essere trascinata in una guerra che avrebbe voluto evitare a ogni costo. La gestione della crisi è stata progressivamente monopolizzata dal premier israeliano Netanyahu, mentre Trump è rimasto ai margini.

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Gaza: una tregua mai arrivata

Anche sulla guerra nella Striscia di Gaza, l’approccio della Casa Bianca non ha prodotto alcun risultato concreto. A marzo, Steve Witkoff aveva contattato i vertici di Hamas, nonostante la netta opposizione del governo israeliano. La sua proposta prevedeva una tregua di 60 giorni e il rilascio di 28 ostaggi israeliani in cambio della liberazione di 1.236 prigionieri palestinesi. Il 13 maggio, Hamas ha liberato Edan Alexander, cittadino con doppia cittadinanza israeliana e americana. Ma nella Striscia restano ancora 53 ostaggi, di cui 30 presumibilmente morti. La tregua promessa da Witkoff non ha mai preso forma. Netanyahu e Hamas si sono accusati reciprocamente del fallimento, mentre Trump ha provato a rilanciare senza successo.

Una strategia fallita e un mondo più instabile

Il 9 giugno, Trump ha telefonato a Netanyahu chiedendo un cessate il fuoco a Gaza e invitandolo a non considerare un attacco all’Iran. Poche ore dopo, parlando alla stampa alla Casa Bianca, ha dichiarato: «Teheran era coinvolta nei negoziati su Gaza». Ma anche quest’ultima uscita sembra più un tentativo di rivendicare centralità che il frutto di un reale progresso diplomatico.

Dopo sei mesi di tentativi, resta un dato: le promesse infrante di Trump in politica estera non solo hanno deluso le aspettative, ma rischiano di aver aggravato i conflitti. Dai Balcani al Medio Oriente, dal Mar Nero al Golfo Persico, il mondo è oggi più instabile.