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14/09/2025 ore 08.52
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Ubriaco al volante? Ora ne paga le conseguenze anche chi sale a bordo

La Cassazione stabilisce: il risarcimento al passeggero può essere ridotto se era consapevole che il conducente fosse in stato di ebbrezza. Non basta dire “non guidavo io”: la responsabilità diventa condivisa

di Luca Arnaù

Non sarà più possibile cavarsela con la frase “non ero io al volante”. Con una pronuncia destinata a diventare un precedente importante, la Cassazione ha stabilito che anche il passeggero può vedersi ridurre il risarcimento se era consapevole che il conducente guidasse in stato di ebbrezza. Una decisione che sposta l’asse della responsabilità dagli unici polsi che stringono il volante a chiunque, con coscienza, scelga di mettersi in macchina accanto a chi ha alzato troppo il gomito.

La vicenda da cui nasce la sentenza è drammatica. I giudici sono stati chiamati a decidere sul ricorso presentato dai familiari di un uomo morto in un incidente. La Corte d’appello aveva riconosciuto loro un indennizzo ridotto del 30%, sostenendo che la vittima sapesse che l’autista fosse ubriaco e che, salendo comunque a bordo, avesse accettato un rischio evidente. I parenti contestavano questa impostazione, richiamando una vecchia sentenza del 2005 che parlava di concorso di colpa solo in caso di “cooperazione attiva”.

Ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso, fissando un principio chiaro: il concorso di colpa non si limita a chi collabora materialmente alla condotta pericolosa, ma comprende anche chi accetta passivamente di esporsi a un pericolo anomalo. In altre parole, il passeggero non può essere considerato del tutto estraneo alle conseguenze se, prima di salire, era perfettamente consapevole delle condizioni del conducente.

Il ragionamento affonda le radici nell’articolo 1227 del Codice civile, che disciplina il concorso colposo del creditore, e nell’articolo 2 della Costituzione, che richiama alla responsabilità personale e alla solidarietà sociale. Per i giudici, l’esposizione volontaria e consapevole al rischio di viaggiare con un autista ubriaco non annulla il diritto al risarcimento, ma lo riduce in proporzione al grado di colpa del passeggero.

La sentenza cita casi analoghi: chi si fa trasportare senza cinture di sicurezza o su un’auto guidata da una persona priva di patente accetta, di fatto, un rischio irregolare. La Cassazione ribadisce che la colpa si può configurare non solo nell’agire ma anche nell’accettare, pur sapendo, una situazione di pericolo.

La decisione, al di là del tecnicismo giuridico, ha implicazioni forti sul piano sociale. Segna infatti un cambio culturale: non è più sufficiente fidarsi ciecamente di un amico che si mette alla guida dopo una serata di alcol. La responsabilità diventa anche di chi sceglie di salire in auto, pur sapendo di non trovarsi in condizioni di sicurezza. Un monito che i giudici trasformano in deterrente: chi accetta di correre il rischio dovrà anche sopportarne le conseguenze.

Non si tratta di deresponsabilizzare chi guida. L’autista resta il primo e principale responsabile. Ma da oggi, in casi come questo, la vittima che ha scelto di esporsi non potrà pretendere un risarcimento pieno. È un equilibrio delicato che mira a responsabilizzare tutti, non solo chi ha in mano il volante.

La Cassazione ha anche ricordato i precedenti più recenti che hanno segnato questa evoluzione. Sentenze del 2019, del 2020 e del 2024 hanno già aperto la strada a questa interpretazione, superando definitivamente la linea più restrittiva di vent’anni fa. Oggi, la Suprema Corte ha scelto di ribadire con fermezza la nozione di “cooperazione colposa” come contributo anche solo implicito alla condotta dannosa.

Naturalmente, resta il problema della prova. Dimostrare che il passeggero fosse davvero consapevole delle condizioni del conducente non è sempre semplice. Serviranno testimonianze, contesti, elementi oggettivi: non sarà sufficiente un sospetto. Ma una volta accertata la consapevolezza, la riduzione del risarcimento sarà inevitabile.

In questo senso, la sentenza assume anche un valore educativo. Perché ricorda che salire in macchina con chi ha bevuto non è solo un atto di fiducia mal riposta: è un’assunzione di rischio che pesa anche sul piano giuridico. Non più, dunque, un gesto che si cancella con un “non guidavo io”, ma una scelta che può costare cara in tribunale.

La decisione ha già acceso il dibattito tra avvocati e assicurazioni, ma anche tra associazioni delle vittime della strada. Per alcuni, è un principio di responsabilità condivisa che rafforza la prevenzione. Per altri, rischia di diventare un alibi per ridurre i risarcimenti ai familiari delle vittime. Di certo, cambia le regole del gioco.

In fondo, il messaggio che arriva dalla Cassazione è semplice, quasi brutale: quando il conducente è ubriaco, non basta sedersi accanto e chiudere gli occhi. Perché la legge, ora, ti chiede di aprirli prima.