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07/08/2025 ore 22.25
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Una freccia che gli trapassa la testa, due giorni sul pavimento e ancora vivo: il miracolo chirurgico (e inspiegabile) di Ancona

L’uomo era vigile, con gli occhi aperti, quando i soccorritori lo hanno trovato: un dardo in carbonio gli trapassava il cervello da parte a parte. Se fosse penetrata un millimetro più in basso, sarebbe morto

di Luca Arnaù

Da due giorni era steso sul pavimento. Non mangiava, non beveva, non si muoveva. E quando i soccorritori sono entrati in casa sua, ad Ancona, lo hanno trovato così: vigile, con gli occhi aperti, una freccia conficcata nella testa. Una sottile asta di carbonio gli attraversava il cranio dalla fronte alla nuca. E parlava. In modo sconnesso, certo, ma parlava. L’hanno portato al pronto soccorso dell’ospedale di Torrette. E lì è cominciato un caso clinico al limite del possibile.

L’uomo, 64 anni, è ora ricoverato in condizioni critiche, ma ha superato la prima fase, quella in cui si muore. I medici parlano di miracolo, ma usano il condizionale. Preferiscono definirlo un caso rarissimo, chirurgicamente affascinante e, per certi versi, inspiegabile.

I carabinieri stanno ancora indagando. In casa dell’uomo è stata ritrovata una balestra, regolarmente detenuta. L’ipotesi è che il colpo sia partito per sbaglio. Forse stava maneggiando l’arma. Forse è inciampato. Forse, ma è solo un’ipotesi, si è trattato di un tentativo di suicidio andato storto. Nessuno, per ora, può dirlo con certezza. Quel che è certo è che la traiettoria della freccia è stata chirurgicamente perfetta.

A guidare l’équipe che lo ha operato è stato il professor Maurizio Iacoangeli, primario di Neurochirurgia. «Mi ha chiamato il mio collaboratore – racconta – e mi ha detto: “Prof, c’è una TAC da vedere”. Sul monitor ho visto una linea scura che attraversava il cranio. Una freccia. Ma il paziente era vigile, parlava. Era lì da due giorni, da solo, in casa. La freccia gli impediva perfino di girare la testa».

Il dardo non ha colpito nessuna delle cosiddette aree nobili del cervello. Nessun grosso vaso, nessun centro vitale, nessuna zona eloquente. «Ha seguito un tragitto che noi neurochirurghi – prosegue Iacoangeli – scegliamo deliberatamente quando dobbiamo penetrare nel cervello: più lungo, ma più sicuro. Una via “intelligente”, leggermente paramediana. Se fosse stata sulla linea mediana, l’avremmo perso. È stato fortunato. O – se uno ci crede – aiutato dall’alto».

Ma c’è di più. Il materiale della freccia ha fatto la differenza: carbonio puro, che non interferisce con la TAC, a differenza del metallo. Nessun riflesso, nessuna distorsione. I medici hanno potuto studiare nei minimi dettagli il tragitto del dardo, la posizione rispetto ai vasi sanguigni, le strutture coinvolte. E pianificare l’intervento con precisione millimetrica.

«Non si tratta solo di rimuovere un corpo estraneo – spiega Iacoangeli – ma di farlo senza scatenare un’emorragia massiva. La freccia può fare da tappo. Se la sfili male, il sangue esce come da una diga rotta. È come disinnescare una bomba». Per questo l’intervento, eseguito dal dottor Maurizio Gladi e dalla dottoressa Klaudia Musteqja, è durato due ore. Due ore di estrema attenzione, ogni movimento calibrato, ogni evenienza prevista. «In questi casi – spiega ancora il primario – conta la preparazione, non la velocità. La sala sterile, la pianificazione con l’anestesista, le simulazioni pre-operatorie. Un lavoro multidisciplinare. Un processo da sala operatoria militare».

E infatti, il parallelo con la neurochirurgia da guerra non è casuale. Iacoangeli cita il suo amico e collega Rocco Armonda, neurochirurgo dell’esercito americano, specializzato in lesioni penetranti sul campo. «Ci ha insegnato molti trucchi. In Iraq, in Iran, ora in Ucraina. Sono interventi che da noi si vedono raramente, ma che in zone di guerra sono quasi quotidiani».

Anche negli Stati Uniti – racconta ancora il primario – situazioni simili sono più frequenti: «A Jackson, in Mississippi, dove ho lavorato per un periodo, arrivavano ogni giorno pazienti colpiti da armi da fuoco, pugnali conficcati nel cranio, a volte camminavano da soli fino al pronto soccorso. Ma qui in Italia è una rarità assoluta».

Il paziente è ora in rianimazione. I rischi restano molti: infezioni, complicanze neurologiche, danni vascolari. Due giorni senza idratazione hanno lasciato il segno. Ma resta lucido, ed è stabile. L’intervento, al momento, ha avuto successo.

Un collega del San Camillo di Roma, in passato, ha operato un pescatore colpito da una fiocina. Ma casi così, nella medicina civile, si contano sulle dita di una mano. Eppure, ogni tanto, succede. Che la morte si presenti con un vestito perfetto. E che venga mancata per un solo millimetro.