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23/06/2025 ore 10.45
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Il capo della polizia Pisani nella bufera: il caso Giambruno accelera la parabola discendente

Il funzionario perde l'appoggio di Palazzo Chigi e Viminale. Sullo sfondo, lo scandalo dell'auto dell’ex compagno della presidente Meloni e il conflitto tra Digos e Mobile

di Luca Arnaù

Isolato dentro, abbandonato fuori. È la parabola discendente che rischia di inghiottire Vittorio Pisani, superpoliziotto dal curriculum invidiabile e oggi capo della polizia con più ombre che certezze. Il terremoto che scuote il Viminale ha un epicentro preciso: la notte tra il 30 novembre e il primo dicembre, quando due uomini vengono sorpresi a trafficare vicino alla macchina di Andrea Giambruno, ex compagno della premier. Ma dietro questo fotogramma sfocato si muove molto di più: equilibri saltati, veleni tra reparti, sospetti sui servizi e un'indagine destinata a lasciare il segno.

Il primo a fare un passo indietro, in silenzio, è stato Alfredo Mantovano. Da uomo chiave di Palazzo Chigi, aveva spinto per Pisani, ma dopo la gestione opaca del “caso Giambruno”, anche la sua fiducia si è incrinata. E se vacilla Mantovano, si allontana anche Giorgia Meloni, che del sottosegretario si fida ciecamente. A sorpresa, tace anche Matteo Salvini, che di Pisani era stato lo sponsor più convinto. Quando il leader della Lega smette di difenderti, il segnale è forte.

Sul tavolo c’è un’ipotesi non più remota: un cambio al vertice. Un avvicendamento delicato e non privo di rischi politici, considerando che Pisani è in carica solo da pochi mesi. Ma a rendere tutto più incandescente è il conflitto interno alla polizia, dove Digos e Squadra Mobile si contendono il controllo delle indagini e i riflettori mediatici. La gestione dell’inchiesta sui due uomini sospetti — in un primo momento attribuita alla Digos — è stata poi riassegnata alla Mobile, con l’input della procura e l’avallo dei vertici della pubblica sicurezza. Una mossa che ha generato malumori, accuse trasversali e una guerra sotterranea fatta di dossier e voci di corridoio.

Nel frattempo, i due uomini sorpresi vicino all’auto vengono rapidamente scagionati. Le celle telefoniche li localizzano altrove, e si ipotizza persino un tentativo di furto. Ma le versioni non tornano, le testimonianze traballano, e il sospetto — mai del tutto fugato — è che si sia cercato di archiviare in fretta una storia imbarazzante. L’agente di polizia che li aveva fermati, in servizio davanti alla villa della premier, aveva riconosciuto uno dei volti. Eppure, in un secondo momento, le identificazioni diventano più vaghe, le ricostruzioni sfumate. Uno dei due viene descritto come un semplice ricettatore. L’altro? «Uno conosciuto per caso», dice l’uomo poi interrogato.

Nel frattempo, Giuseppe Del Deo — potente ex dirigente dell’Aisi e figura chiave nella vicenda — viene pensionato in fretta e furia con un decreto ad hoc. E il suo sodale Pisani comincia a perdere pezzi. Il loro asse, rodato negli anni in cui l’attuale capo della polizia era vicedirettore dell’Aisi, sembra oggi un boomerang. Meloni non si fida più, Mantovano è silente, Piantedosi si defila. E Salvini non dimentica l’imbarazzo provocato da alcune intercettazioni dell’Aisi, ai tempi delle sue visite all’ambasciatore russo Razov.

A complicare tutto c’è anche la storia del vitalizio richiesto da Pisani per un infortunio del 1996. Una frattura al polso oggi rievocata come «ferita da vittima del dovere», giusto qualche settimana prima della nomina a capo. Un dettaglio che ha sollevato più di un sopracciglio, specie considerando il precedente del suocero, per cui Pisani aveva firmato una relazione altrettanto favorevole.

Oggi il superpoliziotto cerca un’uscita onorevole. L’ipotesi più accreditata è un incarico alla guida dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. Un ruolo meno esposto, ma ancora strategico. Eppure, sostituire per la terza volta in poco più di due anni il capo della polizia non è decisione da poco, e al governo lo sanno bene.

In questa partita a scacchi, ogni mossa ha un peso. Pisani, il mastino anticlan che fece tremare i Casalesi, ora fatica a difendere se stesso. Gli alleati tacciono, gli apparati si spaccano, e l’uscita di scena potrebbe essere solo questione di tempo.