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27/08/2025 ore 06.30
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Zaia, il Doge dimezzato che fa tremare la Lega: per Salvini il Veneto è una polveriera

Il Carroccio pretende la guida della Regione dopo i tre mandati di Zaia, ma non sa come liberarsi davvero del suo presidente più amato. E la tensione resta altissima: Meloni e Forza Italia non gradiscono e il vertice slitta ancora. Sullo sfondo le altre partite regionali: Puglia, Campania e Toscana.

di Luca Arnaù
Zaia e Salvini (Ipa), Stefani (Facebook)

Il Veneto si conferma la spina nel fianco di Matteo Salvini. Non bastavano le beghe nazionali, i malumori interni e la guerra perenne con Giorgia Meloni. Adesso il Carroccio rischia di farsi esplodere in casa propria, proprio nella regione che per vent’anni è stata la roccaforte leghista per eccellenza.

Il problema ha un nome e un volto: Luca Zaia. Tre mandati da governatore, popolarità alle stelle, un consenso personale che continua a sopravvivere persino al crollo elettorale del partito. Zaia è “il Doge”, l’uomo che in Veneto raccoglie più voti della Lega stessa. Ma non può più correre per la presidenza a causa del limite dei mandati. E qui scatta l’ingorgo.

La Lega non vuole mollare la poltrona più prestigiosa del Nord e mette sul tavolo una proposta che sa di furbata disperata: candidare Zaia capolista in tutte le province, con il suo nome stampato accanto al simbolo del partito. In pratica, usarlo come locomotiva elettorale senza concedergli la libertà di fare una lista autonoma che sarebbe indigeribile per FdI e Forza Italia.

«Con Zaia in campo sarà tutta un’altra partita», esulta il capogruppo leghista in Regione, Alberto Villanova. Peccato che la partita, così come l’ha impostata Salvini, rischi di diventare una roulette russa. Perché l’ipotesi non piace al diretto interessato, che continua a coltivare l’idea della sua lista personale, quella che terrorizza gli alleati. Zaia non ha mai smesso di ricordare che il suo consenso non appartiene al Carroccio ma a lui.

Il clima è da stallo permanente. La segreteria leghista vorrebbe usare il Doge come santino elettorale, ma Zaia non gradisce il ruolo di comparsa. Non è un mistero che in privato abbia fatto capire di non volersi far mettere all’angolo. «Io non sono Ligresti, non sono un burattino», avrebbe confidato a chi gli è vicino. Il messaggio è chiaro: se lo costringono, la lista Zaia nascerà davvero.

Intanto, il vertice nazionale per chiudere le candidature regionali slitta ancora. Doveva tenersi ad agosto, poi a fine mese, adesso si parla del 5 settembre. Nel frattempo le tensioni crescono. Giorgia Meloni guarda con fastidio al braccio di ferro veneto: non ha nessuna voglia di trovarsi un superconsigliere in Regione più potente del governatore eletto. Forza Italia, che già digerisce male la supremazia meloniana, non accetterebbe un’altra figura ingombrante destinata a condizionare la coalizione.

Lo scenario ricorda quello pugliese, con Antonio Decaro che tenta di liberarsi di Emiliano e Vendola. Anche in Veneto, chiunque correrà come candidato governatore si ritroverà Zaia tra i piedi, un peso massimo difficile da ignorare. Che sia Alberto Stefani per la Lega, o Luca De Carlo e Raffaele Speranzon per Fratelli d’Italia, il problema resta lo stesso: governare con il Doge in aula non sarà affatto semplice.

E mentre il Nord si dibatte, al Sud le cose non vanno meglio. In Campania i nomi si sprecano: Mara Carfagna, Edmondo Cirielli, Matteo Piantedosi, Gianpiero Zinzi. Tutti bravi sulla carta, nessuno convincente davvero. In Puglia la telenovela Decaro-Emiliano non trova sbocco, con i grillini pronti a far saltare il banco. In Toscana Forza Italia storce il naso sul sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi, candidato meloniano che non scalda i cuori azzurri.

Morale: il centrodestra sembra invincibile solo nei sondaggi. Nella realtà, il risiko delle candidature si trasforma in un campo minato. Il Veneto è il caso più clamoroso: Salvini non può permettersi di perdere la sua roccaforte, ma neppure di offendere Zaia, senza il quale la Lega rischia l’umiliazione. E Zaia non vuole passare per un ex.

Così lo stallo continua, con la prospettiva di un autunno bollente. Il Doge non molla, Salvini barcolla, Meloni osserva e Forza Italia si lamenta. E il centrodestra, che avrebbe dovuto presentarsi compatto e spavaldo, appare invece impantanato in litigi, veti e sospetti. In Veneto, più che altrove, la resa dei conti è solo rinviata.