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17/07/2025 ore 14.03
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Le opere dello scultore Santo Alessandro Badolato in mostra al Museo d’arte della Sila: «Porto la Calabria nel cuore»

Al via la seconda edizione di “Stanze di Vita Immaginaria”. Fino al 20 luglio il Mabos ospiterà la una tappa del format residenziale Sense “Te hominem memento”

di Francesco Graziano

Al via la seconda residenza d'artista nell'ambito della seconda edizione di "Stanze di Vita Immaginaria" nella suggestiva ambientazione del MABOS (Museo d’Arte del Bosco della Sila). Un'iniziativa che in occasione del centenario della sua nascita omaggia il fotografo Mario Giacomelli.

Nella nuova tappa delle residenze Sense, giunte all’ottava stagione, sino al 20 luglio, sarà protagonista Santo Alessandro Badolato, scultore catanzarese con una forte propensione verso la materia in tutte le sue declinazioni. Quella di Badolato è una ricerca orientata ai temi della sacralità e dell’essenza, nella convinzione che la sintesi generata dalla lettura dell’insieme sia la via per avvicinarsi alla verità. Così come testimonia la sua opera “Te hominem esse memento”, in cui la materia si disgrega per liberarsi dalle impurità e ricostruirsi in una nuova forma. Ad impreziosire il contesto culturale sono il contributo letterario offerto da Andrea Cortellessa, storico e critico letterario nonché docente di letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Roma Tre; il tratto originale della matita di Giuseppe Talarico, direttore artistico di Colosso Studio; la narrazione fotografica di Isabella Marino

«I progetto di Badolato aderisce perfettamente alla nostra idea di spazio e limite in quanto aiuta a visualizzarne, in maniera più netta, la consistenza e gli effetti. Proprio grazie a questa consapevolezza, permette di coltivare una forma di emancipazione», commenta la direttrice del MABOS Elisabetta Longo.

Per l'occasione abbiamo incontrato ed intervistato lo scultore Santo Alessandro Badolato e la direttrice del Mabos Elisabetta Longo.

Santo Alessandro, in che modo la plasticità e la spazialità giocano un ruolo nelle sue creazioni artistiche?
«La plasticità e la spazialità sono due concetti fondamentali, ma non i primi da cui abitualmente inizio. Per quel che riguarda la plasticità, recupero un aneddoto. Anni fa, in Biennale d’Architettura (non ricordo l’edizione), mi incuriosì molto un architetto giapponese per il modo in cui procedeva con lo studio e la sperimentazione della/sulla materia: non si trattava di “utilizzare” un materiale, bensì di sondarne, anzitutto, i limiti (piegare, tagliare, comprimere, saldare, flettere, bruciare…) e, solo a quel punto, di adoperare tale materiale con piena consapevolezza nel proprio lavoro. Il punto era, quindi, “comprendere” il materiale, sperimentarne tutte le possibilità espressive e, soltanto dopo, utilizzarlo realmente. La plasticità è pertanto, e primariamente, plasticità di pensiero. Di contro, l’attenzione alla spazialità credo nasca dal forte interesse che ho sempre nutrito nei confronti dell’architettura».

Quali sono le sue fonti di ispirazione per le sue sculture?
«L’osservazione del mondo e delle sue dinamiche di funzionamento sono la principale fonte di ispirazione del mio lavoro, che solo in parte è “scultoreo”. Se, invece, ci si riferisce a degli artisti ho spesso ricevuto grande linfa da incontri inaspettati e stupefacenti. Trovo quasi scorretto fare degli esempi, in quanto il bacino da cui attingo è ampio e differenziato, ma se penso a chi, nel profondo, ha inciso su di me in modo irreversibile, non posso che menzionare un solo nome: Franco Battiato, con tutta la sua opera».

Come vede l’evoluzione della scultura contemporanea e come pensa che il suo lavoro si inserisca in questo contesto?
«Non saprei cosa rispondere, non mi sono mai posto questa domanda e, devo dire, non ho un interesse così puntuale: mi è sempre interessata l’arte come movimento globale. Nelle sue più diverse accezioni espressive, del movimento globale cerco di cogliere la dimensione politica, che in questo momento storico mi sembra sia disturbata da una profusione di rumore visivo puramente estetico. In questo contesto, il mio lavoro è un lavoro di “posizionamento”. Credo che l’arte e, di riflesso, gli artisti abbiano il destino (non il ruolo) di tendere alla verità delle cose senza la pretesa di arrivarvi e di essere oracolari e prescrittivi».

Qual è il ruolo dell’osservatore nelle sue sculture? Invita lo spettatore a interagire con l’opera o a riflettere su di essa?
«Il ruolo dell’osservatore nelle mie opere riguarda l’osservatore e lui soltanto, non me, ed è una questione di necessaria relazione di libertà e rispetto reciproci. L’interazione è poi una condizione fisiologica degli esseri umani, come la capacità di riflessione; non serve che io ne induca movimenti o forzature particolari, sarebbe oltretutto impossibile: di quale osservatore staremmo parlando? Quando? E perché? Un adolescente? La leggendaria casalinga di Voghera? In quali condizioni emotive, biografiche o, finanche, atmosferiche ne interagirebbe?»

La luce mediterranea della Calabria gioca un ruolo importante nella sua arte? Ha mai tratto ispirazione dalle architetture o dalle sculture storiche presenti in regione?
«Porto la mia terra nel cuore e ne sono fortemente legato, nonostante le sue numerosissime contraddizioni; certamente, e nel suo complesso, è presente anche nel mio lavoro, tuttavia non sono singoli elementi a costituirne una fonte di ispirazione».

Cosa l’ha spinta a creare un'opera come “Te hominem esse memento” e cosa rappresenta per lei il tema della trasformazione e della rinascita?
«Il desiderio di lavorare sulla dimensione del sacro, del vuoto e del limite. “Te hominem esse memento” è un’opportunità di contatto con una parte di sé e di riflessione sulla propria condizione di finitezza, un invito all’incontro con ciò che di sé bisogna abbattere e disgregare. E, dunque, nella bulimia frenetica del riempire, nella ricerca di senso nell’“illimite”, scoprire il valore del vuoto e accogliere la dimensione del limite diventa una prospettiva impossibile laddove, invece, fermarsi e iniziare a osservarsi con consapevolezza risulterebbe già in sé un potente atto di distruzione e dunque, di trasformazione e rinascita».

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Direttrice Longo, qual è la missione del Mabos da lei diretto e come si inserisce nel contesto culturale calabrese?
«Il Mabos è un museo d’arte nel bosco della Sila catanzarese, dunque parco d’arte e un progetto d’arte ambientale che si alimenta principalmente tramite le residenze d’artista. L’arte è dunque materia viva e gli artisti diventano i veicoli essenziali di messaggi codificati in maniera sempre diversa, in un’operazione certamente finalizzata a modificare, “contaminare” il paesaggio e la sua percezione. Cosa che accade anche viceversa. In Calabria non siamo gli unici a lavorare in questa direzione, anche se, nella complessità delle nostre caratteristiche penso possiamo definirci (per ora) un unicum».

Quali sono le principali difficoltà e quali le soddisfazioni maggiori finora riscontrate dal museo?
«Difficoltà e soddisfazioni sono state spesso direttamente proporzionali. Superare le avversità di un territorio difficile, ricco di potenzialità ma molto carente, spesso, di infrastrutture, servizi e di concreti impegno e lungimiranza da parte delle istituzioni pubbliche, portando in campo, con dedizione e passione, tutta la nostra ambizione del fare e del coltivare forme diversificate di bellezza; riuscirci con discrezione e avere l’approvazione e la comprensione di un pubblico molto eterogeneo, di addetti ai lavori e non, è certamente una bella vittoria».

Come il museo contribuisce a creare un dialogo tra gli artisti calabresi ed il pubblico locale e nazionale?
«Gli artisti calabresi (e non solo) che arrivano in residenza hanno la possibilità di lavorare a stretto contatto con l’ambiente boschivo e a misurarsi anche con la solitudine che ne consegue. Ma questa non è una regola o una condizione assoluta o necessaria: qualche volta, conoscere profondamente un territorio significa anche misurarsi col contesto antropico, quindi col tessuto sociale e culturale circostante, che – sempre più spesso – arriva per via di relazioni umane, di visite nei piccoli paesi montani a noi limitrofi, coi loro stimoli e le loro informazioni, a interferire nella visione complessiva dell’opera. Opera che, a sua volta, rilascia quelle informazioni filtrate, nel tempo e nello spazio che si trova poi ad “abitare”. Oppure, una formula relazionale molto bella è significativa è stata messa a punto col progetto Archivio Mabos: in quel caso, a spostarsi verso i paesi limitrofi e a intessere relazioni coi luoghi e le persone è stata una diversa ma incisiva narrazione del Mabos, tramite immagini e documenti d'archivio in grado si solcare ogni tipo di confine con estrema facilità».

Qual è il ruolo esercitato dall'arte e dal Mabos in particolare nella sensibilizzazione verso la protezione dell'ambiente e la conservazione della natura?
«Nella messa a punto di buone pratiche e tematizzazioni della sostenibilità ambientale nel e attraverso l’arte, il Mabos ha avuto e continua ad avere un ruolo strategico perché si presenta come un progetto di riqualificazione culturale di un’area interna montana, che negli anni ha saputo ospitare e rendere accessibili a tutti varie sfumature dell’arte ambientale, costellando di opere circa 30.000 mq di superficie boschiva. Certamente, sono in primo luogo gli artisti a impegnarsi nella realizzazione di un progetto che possa adeguatamente relazionarsi all’ambiente naturalistico e farsi portavoce di tutta una serie di riflessioni, quesiti e istanze che sostengano il peso di un cambio di mentalità e quindi un’inversione della visione. Successivamente, è invece il variegato pubblico di fruitori – consapevoli o casuali che siano -ad agire direttamente, diventando uno strumento essenziale per la realizzazione del senso e la promulgazione di sentimenti e comportamenti di tutela e conservazione».

Sono state instaurate collaborazioni con altri musei o istituzioni per promuovere e valorizzare ulteriormente le attività del Mabos? Quali sono i principali progetti in cantiere?
«Sì, è sempre stato fondamentale per noi intessere relazioni importanti e con i nostri partner realizzare progetti in grado di sostenere l’identità e la mission di tutte le parti impiegate. Come è stato con l’Archivio Mario Giacomelli, in occasione dell’allestimento della mostra permanente “Camera Oscura. Mario Giacomelli e il canto dei nuovi emigranti” o con Italea Calabria per l’ideazione e la realizzazione di un gioco didattico, ancora in progress, tra gli esempi più recenti. Il 2025 è un anno di belle novità e di instancabile lavoro: contestualmente alle residenze continuano ad accadere cose che ci piacciono molto. Come la nascita di un Magazine del Mabos o di uno spazio di approfondimento connesso alle fotografie giacomelliane. C’è in programma anche una bella novità che riguarda sempre la fotografia, che accadrà alle porte dell’autunno ma di cui per ora non vorrei svelare molto».