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28/09/2025 ore 15.39
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Tra arte e natura, il Museo d’ Arte del Bosco della Sila omaggia Mario Giacomelli con due residenze d’artista

Dal 29 settembre al 5 ottobre saranno i fotografi Mario Cresci e Massimo Mastrorillo a suggellare la seconda edizione di “Stanze di vita immaginaria” promossa nell’ambito della stagione artistica Sense 2025 e ispirata a "Il canto dei nuovi emigranti" del rinomato pittore e fotografo

di Francesco Graziano

Nel cuore dell’entroterra catanzarese, dove la natura e la creatività si fondono in un unico luogo, il Museo d'Arte del Bosco della Sila (MABOS) ospiterà una doppia residenza d'artista dedicata alla fotografia in onore di Mario Giacomelli, rinomato fotografo e pittore, protagonista del '900 italiano, in occasione del centenario della sua nascita.
Un evento che promette di riservare un'esperienza unica e coinvolgente, capace di toccare il cuore e la mente di chi lo vivrà. Un appuntamento speciale che si inserisce nella seconda edizione di “Stanze di Vita Immaginaria”, nell'ambito della stagione artistica SENSE 2025, e che rappresenta un'opportunità unica per esplorare nuovi orizzonti artistici e riflettere sulla creatività.

Dal 29 settembre al 5 ottobre, due nomi rilevanti del panorama fotografico, Mario Cresci e Massimo Mastrorillo, si incontreranno per intrecciare due generazioni e linguaggi diversi, creando un'opportunità unica per esplorare nuovi orizzonti artistici e riflettere sulla natura della fotografia e della creatività.

Mario Cresci, tra i primi in Italia a sperimentare la libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia e l'esperienza video, realizzerà l'installazione "Specchianti" entro il perimetro di terrazzamenti boschivi. Un’opera che evoca la natura fotochimica della pellicola fotografica e che con gli alogenuri d'argento "assorbe" la realtà rispecchiandola in miniatura.  Ad accompagnare il linguaggio visivo di Mario Cresci sarà Elisa Longo, direttrice del MABOS e poeta in residenza. 

Massimo Mastrorillo curerà la direzione artistica della residenza contestuale "Da zero a Zero. Elogio alla lentezza" coinvolgendo 5 giovani fotografi selezionati tramite una call lanciata in collaborazione con la factory DOOR e la Door Academy da lui diretta a Roma. La residenza si concentrerà sul rapporto tra poesia e fotografia, esplorando nuovi linguaggi basati sulla metafora, sull'immaginazione e sulla concettualizzazione.

Le due residenze d'artista sono ispirate dall'eredità di Mario Giacomelli, racchiusa nelle immagini de "Il canto dei nuovi emigranti", ispirate dall'omonimo componimento del poeta calabrese Franco Costabile. Ad impreziosire la seconda edizione di “Stanze di Vita Immaginaria” saranno il tratto originale e ironico di Giuseppe Talarico, direttore artistico di Colosso Studio, che rappresenta modelli di iconicità della Calabria con freschezza e originalità, e la narrazione fotografica di Isabella Marino.

Per conoscere più nel dettaglio i contenuti dell'importante evento abbiamo deciso di rivolgere alcune domande al fotografo Massimo Mastrorillo e alla direttrice Elisa Longo.

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L’intervista a Massimo Mastrorillo

Ciao, Massimo. Grazie per esserti reso disponibile. Puoi approfondire il concetto di "Da zero a Zero. Elogio alla lentezza" e come si riflette nella residenza che ti vedrà coinvolgere cinque giovani fotografi?
«Viviamo in un mondo frenetico e superficiale. Tutto è apparenza. Da anni la mia ricerca come artista mira ad andare oltre la superficie, a porre questioni di carattere universale partendo da storie circoscritte, a considerare inscindibile il rapporto tra materia e spirito, uomo e ambiente. Per questo tipo di lettura è indispensabile rallentare, cercare di percepire la realtà non solo con un organo di senso ma con tutti e cinque, cominciare a vedere la Vita come un valore assoluto, uscendo dalle dinamiche del profitto e del dio denaro che serve solo ad asservire, fuori dal clima di paura nel quale ci costringono a vivere. Quale posto migliore per farlo se non nella Sila e nella magia del Mabos, dove arte e natura e quindi materia e spirito si fondono? Riguardo al titolo, ragionando con Elisa Longo, che parteciperà alla residenza occupandosi della parte letteraria/poetica, abbiamo pensato che un ipotetico viaggio dal numero zero al numero zero, potesse rappresentare al meglio l’idea della lentezza e del suo valore intrinseco, che può essere metaforicamente rappresentato dalla grande importanza e dal ruolo fondamentale che questo numero ha nelle scienze matematiche e non solo».

⁠Come vedi il rapporto tra poesia e fotografia, tema centrale della tua residenza al MABOS?
 
«Penso come molti altri colleghi che la fotografia sia l’arte visiva più simile e vicina alla poesia. Lo è per i suoi apparenti limiti (la mancanza di movimento, tridimensionalità, suono) che esattamente come avviene nella poesia, spinge l’autore a cercare la sintesi. Lo è perché, contrariamente a quanto molti pensi non l’arte della rappresentazione ma dell’immaginazione, della finzione che si avvicina al reale più della rappresentazione stessa. Infine lo è perché un’immagine può avere il potere di smuovere emozioni più di qualunque altra arte visiva, così come fa la poesia nelle arti letterarie».

In che modo la collaborazione con i giovani fotografi (Andrea Agostini, Andrea Alessandrini, Debora De Canio, Mahtab Hoomanfar, Samuele Vincenti) ha influenzato la direzione artistica di "Da zero a Zero"?
«Come premesso nella call alcuni degli autori prescelti provengono o hanno studiato presso la Door academy dove insegno. La motivazione è semplice. La mia idea di insegnamento non prevede che gli studenti diventino dei miei cloni o dei cloni di altri autori, tanto meno che seguano le mie direttive. Io spingo gli studenti a trovare la loro voce, a diventare autori consapevoli. Per questo motivo ho scelto tre di loro, che sono sicuro potranno creare e rispondere in maniera sofisticata al tema e al contesto. Lo stesso dicasi per i partecipanti esterni. Non volevo prime donne, ma persone disposte a lavorare in team, a mettersi in discussione, a confrontarsi. Io stesso parteciperò come autore oltre che come direttore creativo e lo farò tenendomi il più lontano possibile dalla mia “comfort zone”».

⁠Puoi descriverci come la lentezza e la riflessione siano elementi chiave nella tua concezione della fotografia e dell'arte in generale?
«In parte l’ho già accennato. Ritengo che l’arte sia la forma di creatività che permette all’individuale di avvicinarsi all’universale. E la fotografia è un’arte a tutti gli effetti, molto più complessa e profonda di quanti molti vogliano far credere. Il fatto che sia così diffusa non significa che tutto siano fotografia. Quello fotografico è un linguaggio ricco, dalle infinite potenzialità, che spesso viene volgarizzato. Dietro una grande immagine deve esserci un’intenzione, altrimenti rimaniamo nell’ambito del puro esercizio stilistico».

Come l'ambiente della Sila e l'eredità di Mario Giacomelli hanno ispirato la tua residenza e il lavoro dei giovani fotografi coinvolti?
«L’intenzione è quella di permettere a tutti di esprimersi nella massima libertà, tanti corpi e talenti diversi con un unico scopo: raccontare se stessi e la propria visione del mondo, in sintonia con l’universo, rappresentato dall’ambiente nel quale opereremo, la Sila e le zone limitrofe, gli elementi della natura, così come ha fatto per tutta la sua vita Mario Giacomelli, probabilmente il più grande fotografo italiano, di sicuro il più libero e geniale».

L'intervista ad Elisa Longo

Direttrice Longo, come descriverebbe l'atmosfera del MABOS ed in che modo influisce sulle residenze artistiche come quella di Mario Cresci e Massimo Mastrorillo?
«Il MABOS è un laboratorio a cielo aperto che ha il grande vantaggio di godere di uno scenario naturalistico privilegiato: un bosco di pini larici, una natura incontaminata "alterata" solo dall'intervento di artisti che, dal 2017 in poi, si sono avvicendati. Uno spazio dell'interazione e della rivoluzione delle idee e delle visioni, dove ad ogni impronta estetica corrisponde sempre la condizione per confermarla o contraddirla, ad ogni modo il piacere di andare oltre quello che già c'è e si vede»

In che modo l'eredità di Mario Giacomelli ha ispirato la programmazione della stagione artistica SENSE 2025 e le residenze degli artisti?
«Certamente la presenza della mostra fotografica "Camera Oscura. Mario Giacomelli e Il Canto dei nuovi emigranti" è stata una svolta nella percezione generale del MABOS e quindi anche motivo ulteriore di ispirazione e di relazione per gli artisti. Il grande evento dei 100 anni di Giacomelli ci ha poi spinto a strutturare meglio la relazione tra gli artisti e le sue fotografie, fino al punto di dedicargli questa stagione artistica proseguendo col format delle Stanze di vita immaginaria e chiudendo con una residenza interamente dedicata alla fotografia e alla poesia»

Che genere di collaborazione ha instaurato lei con Mario Cresci nella concezione dell'installazione "Specchianti" e come vede la sua esplorazione della natura fotochimica della pellicola?
«Con Mario Cresci la relazione si è fatta subito consistente e non poteva essere diversamente con un artista del suo calibro e con una densità umana fuori dal comune. Prima di arrivare a questa soluzione, è stato con noi, ci siamo conosciuti, stimati. Questa collaborazione è il frutto di due anni di conoscenza degli spazi, delle esigenze e delle persone ma soprattutto della sua amicizia e vicinanza a Mario Giacomelli, che è stato il motivo principale del suo primissimo approdo al MABOS. Il progetto che lascerà al bosco, questo speciale modo di oggettivare il fotografico, è certamente una dedica ma soprattutto il naturale risultato di una ricerca sempre orientata a superare i limiti del "mezzo" o comunque della rigida categorizzazione che al "mezzo" si lega. Ricerca che ha fatto di Cresci non un fotografo ma un artista extra mediale a tutti gli effetti. È un onore per me esserne testimone e divulgatrice».

Come si coniuga e quali emozioni accompagnano il suo duplice ruolo di padrona di casa, in quanto direttrice del Mabos, e poeta in residenza?
«Questo è un tasto particolarmente delicato, per me. Da oltre due anni ricopro un ruolo che mi ha costretto a riorganizzare il mio assetto mentale, ad entrare in una dinamica di sguardo analitico ed esterno. Con la poesia invece lo sguardo è interiore e fa continuamente sintesi. Sono due movimenti della coscienza completamente opposti e che ho dovuto imparare a fare convivere, non senza qualche difficoltà. Il compromesso è sempre stato quello di provare a non soffocare il sentimento poetico che è sempre emerso, in una modo o nell'altro, e credo sia stata la mia firma inequivocabile in questa avventura. Ora, che sarò poeta in residenza, mi pare che quasi si compia e si riveli in maniera definitiva il mio percorso».

Cresci parla di allontanamento dalla "veridicità del reale" attraverso la fotografia: lei come interpreta questo approccio nel contesto di "Specchianti"?
«Lo faccio attraverso la poesia che è un linguaggio molto più vicino alla fotografia di quanto si pensi. Com'è la fotografia, la sensibilità poetica attinge dall'immagine, quindi dalla visione che non corrisponde nettamente al visivo. C'è una netta differenza tra quello che si vede con gli occhi e quello che si vede con le "pupille orfiche", quelle che permettono al poeta così come al fotografo di penetrare la pelle delle immagini, vedere oltre le cose viste, di vedere le cose nel desiderio e nella memoria e di sublimarle e fissare oltre i limiti del "tempo corrente" e della "superficie". Lo specchio è la metafora che consente di capire appieno l'inganno della realtà visibile».

Cosa devono aspettarsi i visitatori del Mabos in queste settimane e nei prossimi mesi?
«I visitatori troveranno un MABOS brulicante. Durante la residenza ma anche oltre. È la natura di un progetto dinamico e vitale. Ci saranno altre novità alle porte dell'inverno e della primavera. Ma ci sarà il tempo di comunicarle».