«Chi lascia la Calabria soffre, questa terra dia più opportunità ai suoi figli»: De Marco racconta “Le ferite invisibili” dell’emigrazione
L’autore a 8 anni ha lasciato San Giovanni in Fiore per la Svizzera e il suo libro narra l’infanzia in Sila e il trasferimento all’estero. E poi i successi personali e professionali, i momenti difficili e l'amore come unica salvezza possibile
«Negli anni '60, chi nasceva a San Giovanni in Fiore, sull'altopiano della Sila, sapeva che prima o poi qualcuno del paese o della famiglia, uno zio, un cugino, nei peggiori dei casi un genitore, se ne sarebbe andato per cercare fortuna all'estero». Le parole con cui Salvatore De Marco inaugura il proprio romanzo "Le ferite invisibili" imprigionano una comprovata verità. Dall'emigrazione, purtroppo, milioni di calabresi hanno potuto difendersi contando soltanto sulla rassegnazione, figli di una regione generosa ma spesso incapace di trattenere a sé.
Lo stesso Salvatore, oggi apprezzato imprenditore in Svizzera, con un passato da cameriere sui treni e venditore di mobili, ha sperimentato sulla propria pelle l'insperato strappo dalla propria terra, la fatica di schiodare la propria infanzia e di staccare le proprie suole dai vicoli di San Giovanni in Fiore alla volta di una sconosciuta città al di là delle Alpi.
Per il piccolo dagli occhi curiosi di vita, arriva un momento in cui il destino spariglia le carte, traccia nuove rotte. Un nuovo percorso, complicato e tormentato, che lo porterà, passo dopo passo, ad affermarsi come imprenditore, padre di famiglia e nonno. Una storia lunga, appesantita dalle discriminazioni e dai pregiudizi verso gli immigrati italiani, gravata dai sacrifici e dai torti subiti negli anni. Ma anche incisa da tagli di luce che segnano ed illuminano il cammino.
«La Calabria si svuota lentamente ma può rinascere e io voglio raccontarlo al mondo»: il sogno di Giuseppe CarusoCon la pubblicazione del libro "Le ferite invisibili" l'autore Salvatore De Marco non si sottrae alla responsabilità del racconto. Parla delle sofferenze vissute in prima persona e usa l'inchiostro della propria penna per descrivere la forza che è riuscito a trovare in sé ed il legame indissolubile con la moglie Francesca che lo porta a convincersi che l'amore sia l'unica salvezza possibile, la sola scialuppa per attraccare in sicurezza al porto della vita.
L’intero ricavato dalla vendita dei libri verrà donato all’associazione no-profit dedicata alla cura delle malattie autoinfiammatorie Fmf & Aid Global Associatinon. Per conoscere meglio Salvatore De Marco ed i contenuti della sua pubblicazione, da poco data alle stampe, abbiamo deciso di porgli qualche domanda.
Salvatore, fino a che età ha vissuto in Calabria e quali sono i ricordi di quel periodo che custodisce ancora oggi con maggiore nitidezza nel cuore? Che regione ha lasciato e cosa le è mancato di più?
«Ho vissuto in Calabria, a San Giovanni in Fiore, fino all’età di otto anni. I miei ricordi più vivi sono legati alla mia infanzia tra le montagne della Sila: le corse nei boschi, le estati calde e gli inverni innevati, il profumo del pane fatto in casa e il calore della mia famiglia, i miei nonni. Ho lasciato una terra meravigliosa, ricca di tradizioni, ma anche segnata dalla necessità di partire per cercare un futuro migliore. Ciò che mi è mancato di più è stata la libertà di quei giorni spensierati e il legame forte con la mia terra e la mia gente».
Arriva il momento del suo arrivo in Svizzera. Le aspettative che riponeva nei confronti del nuovo Paese sono state rispettate o si è trovato spiazzato dalle novità?
«L’arrivo in Svizzera è stato uno shock. Da bambino immaginavo un luogo accogliente, ma la realtà fu ben diversa. Ho trovato un paese freddo, non solo nel clima ma anche nell’atteggiamento verso gli immigrati. Io e la mia famiglia abbiamo dovuto affrontare discriminazioni e sacrifici enormi per integrarci. Ho capito presto che qui tutto andava conquistato con il sudore e la determinazione».
Ci parli del suo lavoro in Svizzera. Quali gli ostacoli e quali i traguardi raggiunti?
«Ho iniziato a lavorare molto presto, facendo di tutto: dal contadino, falegname al cameriere, fino a realizzare un’attività di successo nell settore immobiliare e costruzioni. Gli ostacoli sono stati tanti: il pregiudizio, la fatica, le difficoltà burocratiche. Ma con tenacia e sacrificio ho ottenuto risultati di cui vado fiero. Il più grande traguardo è stato garantire un futuro stabile alla mia famiglia».
Nel suo libro parla anche di alcuni momenti difficili, come la perdita di una figlia e un arresto cardiaco che l'ha portato a un passo dalla morte. Afferma nello stesso tempo però di essere stato salvato dall’amore e dal coraggio di sua moglie, in che modo?
«La perdita di nostra figlia Antonietta è stata una ferita che non si rimarginerà mai. In quel dolore immenso, ci siamo sostenuti a vicenda per non cedere all'oscurità totale. Poi, quando è avvenuto il mio arresto cardiaco, è stata la sua insistenza che mi ha convinto a seguirla in ospedale. Se l'arresto fosse sopraggiunto mentre ero ancora a casa, non ce l'avrei fatta. Se oggi sono ancora qui, lo devo interamente a mia moglie, Francesca, che è stata la mia forza in ogni momento».
È tornato qualche volta in visita in Calabria? Che emozione ha provato? Ha intercettato dei cambiamenti? Qual è l'augurio che sente di rivolgere nei riguardi della sua regione di origine?
«Sì, ci sono tornato più volte. Ogni volta provo un misto di nostalgia e gioia. La Calabria è cambiata, ma alcune difficoltà restano. Il mio augurio è che questa terra possa finalmente offrire opportunità ai suoi figli, affinché nessuno sia più costretto a partire».
"Le ferite invisibili" è il titolo del suo romanzo. Secondo lei, ognuno porta addosso qualche cicatrice nascosta agli occhi del mondo? Lei è riuscito a sanare le proprie?
«Sì, credo che tutti portiamo dentro delle ferite invisibili. Alcune si rimarginano col tempo, altre restano aperte, come cicatrici che non potranno mai guarire completamente. Io ho imparato a conviverci, ma scrivere questo libro mi ha permesso di affrontarle, di elaborarle e, in qualche modo, di trasformarle in una forza che mi accompagna».
Qual è il motivo, la ragione più profonda, che l'ha spinta a pubblicare questo libro? Qual è il messaggio che intende lanciare?
«Volevo raccontare la mia verità, dare voce a chi, come me, ha sofferto e lottato. Il messaggio è chiaro: il dolore può piegarti, ma non spezzarti. E l’amore, quando è vero, può salvarti».