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23/11/2025 ore 19.27
Storie

L’affascino nell’era dell’intelligenza artificiale: il rito segreto che la Calabria custodisce nonostante il progresso

Tra antiche formule, simboli cristiani e rituali tramandati nelle case, l’affascino continua a vivere come gesto di cura e identità, sopravvivendo alla razionalità scientifica e alla modernità digitale

di Franco Sangiovanni

È una pratica che vive a cavallo tra il magico fiabesco e lo spirituale, un ponte sottile tra il visibile e l'invisibile, tra la superstizione e la psicologia ancestrale che da secoli nutre l'identità del Meridione. Che ci si creda o no, l’affascino non ha smesso di esistere, continua a essere praticato, tramandato e temuto, perché in Calabria certe cose respirano ancora nel linguaggio, nella fede e nella memoria collettiva. Eppure, questo sapere antico convive in un mondo dominato dalla tecnologia e dalla scienza. Siamo nell'era della medicina predittiva, in cui l’Intelligenza Artificiale (AI) supporta i sistemi sanitari per garantire diagnosi precoci e suggerire terapie personalizzate. Ma non cancella il rito dell'affascino che porta con sé anche il peso di una lunga storia di sospetto. Per generazioni, questa pratica è stata vista con grande diffidenza da alcuni ambienti, che la bollavano come rito non cristiano o, nei casi più estremi, come espressione di riti satanici. Questo ha costretto le curatrici a operare in una sorta di clandestinità spirituale, nascondendo il “saperlo fare” nonostante il rito sia intriso di simboli cristiani come il segno della croce e l'invocazione alla Trinità. Sebbene il sospetto storico e il progresso tecnologico che ignora (o fa finta di farlo) l'esistenza stessa del malocchio, il popolo continua a rivolgersi a questo sapere non scientifico e mai comprovato per affrontare un malessere che i moderni strumenti spesso non riescono a intercettare.

La sua origine, avvolta nel mistero, si divide tra il catalano “fascinar” (malìe, affatturare) e il latino “fascinum” (sortilegi). Entrambe le radici convergono su un concetto primordiale, quello in cui l’uomo teme e riconosce il potere dello sguardo. Secondo la tradizione popolare, l’affascino nasce proprio lì, incastonato negli occhi di chi osserva con troppa insistenza, con invidia, o con un desiderio che oltrepassa il limite della semplice ammirazione. Si rafforza nell’esistenza di un potere invisibile, sottile, capace di ferire senza contatto fisico. Chi ne è vittima accusa un malessere psico-fisico ben preciso, affrancato da più probabili cause come mal di testa improvviso, stanchezza inspiegabile, un susseguirsi di sbadigli incontrollati o una serie inspiegabile di piccole sfortune. A volte, si dice, basta persino un pensiero involontario e invidioso per “adocchiare”, per “maladocchiare” qualcuno.

Quando i sintomi si manifestano, ci si rivolge alla nonna, alla comare o alla vicina di casa, gli antichi “primari” del reparto "lo sa fare", la cui autorità non deriva da studi ma da un sapere antico, custodito come un dono prezioso. Questo sapere si è tramandato da generazione a generazione, la nonna si sedeva e, con i nipoti vicini a lei, al caldo di un caminetto o di un braciere, spiegava e insegnava. Tuttavia, la trasmissione non poteva avvenire in qualsiasi momento, in alcune zone della Calabria, per essere ritenuta "funzionante", l'usanza doveva essere insegnata a un massimo di tre persone, esclusivamente alla mezzanotte della Vigilia di Natale, quando il confine tra il mondo visibile e quello sacro si assottiglia. L’affascino è un rito che si svolge in assoluta tranquillità e in spirituale silenzio, un atto primordiale e quasi teatrale che, per chi non vi è avvezzo, può risultare profondamente perturbante. Il rituale è scandito dal numero tre, simbolo della Trinità e delle forze spirituali invocate. La curatrice traccia tre croci sulla fronte del soggetto e inizia il sussurro di formule segrete e preghiere non scritte, che sono appunto custodite gelosamente. Durante le preghiere, il corpo della curatrice funge da sensore, il moderno monitor di una sofisticata apparecchiatura: il primo sbadiglio è interpretato come segnale per identificare la provenienza del malocchio, se arriva durante l'Ave Maria, è opera di una donna, se invece accade durante il Padre Nostro, nessun dubbio, è un uomo.

Se il rito iniziale non basta, si passa alla pratica più iconica, quella materiale, con la prova dell’acqua e dell’olio. In un piatto di porcellana riempito d'acqua, la curatrice lascia cadere tre volte tre chicchi di sale grosso, versando poi alcune gocce d’olio. È a questo punto che l'olio diventa un rivelatore: se l'olio resta a galla e compatto, nessun affascino, se l'olio si apre e si allarga allora serve il rimedio perché il Malocchio è presente. Il comportamento delle gocce fornisce ulteriori indizi sulla natura e la forza del sortilegio, indicando se è antico, se proviene da donne o uomini, o se è opera di persone vicine. Esistono anche rituali di difesa, come la creazione di amuleti semplici ma ritenuti potentissimi, spesso posti accanto alle culle dei bambini, per i quali il rito richiede l'essenziale condizione del battesimo. Oggi, in un mondo dove le nostre diagnosi vengono raffinate dalle AI, queste tradizioni sopravvivono quasi clandestinamente, parlando ancora al cuore della gente.

L’affascino, oltre, ad essere un rito, è un racconto, un atto di cura, un frammento di identità collettiva, una usanza che racconta il modo con cui le generazioni passate affrontavano l’ignoto e cercavano equilibrio. Non importa credere o meno all’Affascino, usare il facile per farlo diventare difficile attraverso l’impossibile non è più un modo di concepire l’attendibilità, ciò che conta invece è riconoscere la bellezza delle storie che porta con sé e il richiamo segreto di autenticità che il Sud, nonostante la modernità, continua a esercitare.