Natuzza Evolo e la Passione di Cristo vissuta sul suo corpo: la mistica di Paravati tra mistero e fede
Per anni medici, scienziati ed esperti si sono interrogati sull'origine dei fenomeni legati alla donna venuta a mancare il primo novembre del 2009, proclamata Serva di Dio nel 2019
Sarebbe stata la Settimana santa il periodo più difficile. Quello più complicato, grondante di sofferenza. Per Fortunata Evolo, la mistica di Paravati, vivere la Settimana Santa significava ricalcare, passo dopo passo, il cammino di Gesù sul monte Calvario. Un salire lento, lancinante al solo sguardo. Atroce come il peggiore dei turbamenti a parassitare l’esistenza terrena. Per Natuzza i giorni che precedevano la Pasqua ripetevano un dolore feroce, quello della Passione. Ore a corto di fiato, sovrabbondanti di ferite. Un supplizio elevato alla dignità di offerta a Dio per il bene dell’umanità.
Ogni anno le ferite sul corpo della donna originaria del Vibonese tornavano ad aprirsi, a far male. Le stigmate assumevano sulla sua pelle la forma di ostie, ostensori, volti. Il corpo ospitava frasi in una lingua incomprensibile ai più. Bende e fazzoletti poggiati su di lei si riempivano d'un tratto di preghiere e messaggi scritti con il sangue. Soltanto la morte della Evolo, avvenuta il 1° novembre del 2009, ha sottratto allo strazio ogni possibilità di replica, il ciclico rinnovarsi sopra un fisico sempre più fiaccato dall'età. Il Venerdì Santo era il giorno più pesante da sopportare, sotto il fardello di una croce che nessuno vedeva ma che lei faticosamente reggeva. Così fragile Natuzza ma così resistente.
Stremata come un naufrago, ma irremovibile nella fede. Ostinata a non stracciare il progetto che Dio aveva in serbo per lei: non per atto di sottomissione, né di rassegnazione, ma per accettazione consapevole di una missione celeste più grande di quanto la comprensione umana potesse intendere.
Ciò che mamma Natuzza ha avvertito attorno a sé, lungo la corrente degli anni, è stato di certo l'amore di ritorno dei suoi figli spirituali sparsi per il mondo. Un affetto sincero, di rimbalzo alla sua bontà d'animo. Mai, da parte della mistica, un sorriso negato, una parola trattenuta, un gesto a sbarramento della carità. Anche per questo, le preghiere dei fedeli, durante le festività pasquali, non tardavano a portarsi avanti, a puntare dritte al cielo e domandare la carezza di un conforto per la donna proclamata Serva di Dio nel 2019.
«Tutti quelli che sono venuti a trovarmi sono rimasti nel mio cuore - ha commentato Natuzza in un'intervista del 1995 -. Persone sole, persone che avevano gravi problemi di salute, tossicodipendenti, fratelli che avevano perso la fede. L’altro ieri è venuto a casa mia un giovane affetto da Aids. Mi ha abbracciata. Era disperato. Io l’ho confortato dicendogli di avere fede in Dio e di non abbattersi. Da giorni prego per lui e per quanti si trovano nella sua condizione».
Per anni, la mistica nata il 23 agosto del 1924 ha suscitato amore, devozione, ma anche incredulità, mistero, indifferenza. Ha animato discussioni, provocato dubbi. Medici, scienziati ed esperti su di lei hanno indagato, si sono soffermati. Ad alcuni sono mancate le risposte, strascichi di spiegazioni ai numerosi perché. Altri invece hanno ricondotto tutto alla suggestione, alla credulità popolare.
Tra le varie testimonianze riportate su alcuni testi si può citare il racconto del medico Francesco Accini che, con riferimento al venerdì santo del 1992, ha dichiarato: «Alle 13.50 la situazione è precipitata. Natuzza si è portata ripetutamente le mani sul costato, dalla parte sinistra. Poi, ad un tratto, si è inarcata sulla schiena toccandosi forte sul petto. Ha lanciato un urlo più forte e si sono viste le gambe distendendosi, irrigidirsi e accavallarsi all’altezza dei piedi. Le braccia si sono sistemate ad angolo retto, con i palmi rivolti verso l’alto. Il corpo di Natuzza diventato come un sasso, rigido in posizione di crocifissione. In quei tremendi minuti io sentivo come se il cuore mi venisse strappato dal petto, ci trovavamo di fronte a una persona morta crocifissa dopo essere stata flagellata e aver sofferto tutte le pene di Gesù sul calvario».

La Quaresima per la mistica calabrese, in contatto con il mondo sovrannaturale sin dalla tenera età, è stato tempo di congiunzione con il dolore fisico, con la tragicità della flagellazione. Chi ha avuto modo di osservarla in quei giorni sostiene di averla vista penare come Cristo sulla croce. In tanti, quella stessa sofferenza, avrebbero badato bene a scansarla. Rimanendone a distanza di sicurezza, informando l'Altissimo della loro indisponibilità ad accoglierla.
Ma Natuzza no, il dolore lo ha fatto suo senza esitazione o tentennamenti, lo ha reso cifra della sua umiltà. Fino all'ultima goccia di sangue ruzzolato giù dalla fronte, lei è stata lì, col quel patimento. Proprio come "un verme di terra" - come soleva definirsi - che conosce il buio, il nascondimento del sole. La distanza dalla luce e persino la solitudine. "Un verme di terra" che però oggi, per i credenti, è un tratto di cielo mai adombrato dalle nuvole.