Portò la Calabria sulle tavole di tutta Europa: la storia di Luciano Sirotti, il visionario della piana di Sibari
Era capace di coniugare scienza e pratica, rigore e umanità. A ricordarlo l’agronomo Luigi Ferrara: «La sua azienda era una vera e propria scuola di formazione sul campo»
Come e quando Luciano Sirotti arrivò nella Piana di Sibari, a Castrovillari, resta avvolto da un alone di incertezza. Ma raccontare la sua storia è Luigi Ferrara agronomo presso Torre di Mezzo, esperto di agroalimentare, che così ci consente di tenere viva la memoria, facendo conoscere a tutti questa straordinaria personalità.
Quel che è certo è che la sua storia si intreccia con la disgregazione del latifondo del marchese Gallo, un passaggio epocale che ridisegnò la geografia agricola del territorio calabrese. In quel contesto, i terreni finirono sotto la gestione di famiglie e imprenditori provenienti da altre regioni. Tra questi, la famiglia Sirotti.
Luciano, nato ad Avezzano il 24 aprile 1920 da una famiglia di origini ferraresi, aveva alle spalle una formazione solida: una laurea in Agraria conseguita a Bologna nel 1943, con una tesi sperimentale sulle terre salse di Comacchio. Ma nonostante il titolo, non amava presentarsi come “dottore”: preferiva definirsi semplicemente agricoltore. Una scelta che la dice lunga sul suo carattere.
Fu proprio in Calabria che decise di mettere radici: nel 1959 acquistò circa 60 ettari di terreni nella Piana di Sibari, costruendo la sua casa e fondando un’azienda che sarebbe diventata punto di riferimento per tutta la frutticoltura meridionale.
Sirotti era un agronomo visionario, capace di coniugare scienza e pratica. Portò nel Sud l’esperienza dell’Emilia-Romagna, avviando coltivazioni di pero, susino e pesco. Le varietà che introdusse – come Armgold, Spring Time e Redhaven – divennero il motore della moderna peschicoltura calabrese.
Ma il suo lascito non fu solo agricolo. L’azienda Sirotti era una scuola a cielo aperto, dove giovani tecnici e braccianti imparavano non soltanto le tecniche di potatura, ma anche il valore del rispetto reciproco. “Ora che avete imparato a potare, dovete imparare a parlare con gli uomini”, ripeteva ai suoi collaboratori. Parole che restano scolpite nella memoria di chi lo ha conosciuto.
La sua figura era caratterizzata da una rara combinazione di rigore e umanità. Pagava puntualmente i suoi operai, premiava i giovani tecnici con salari spesso superiori a quelli del Nord e, lontano da qualsiasi paternalismo, viveva fianco a fianco con i lavoratori. Per lui, la dignità passava dai gesti concreti.
Sirotti non fu mai un semplice imprenditore agricolo: fu un innovatore. Negli anni Ottanta presentò alla Regione Calabria il Progetto Agroindustriale DAMON, un piano da 120 miliardi di lire che prevedeva migliaia di ettari di nuovi impianti frutticoli, centri di trasformazione, corsi di formazione e persino una sezione distaccata dell’Istituto Sperimentale di Frutticoltura. Un progetto che avrebbe potuto trasformare radicalmente il futuro della Piana di Sibari, generando 4.000 posti di lavoro annui. Rimase sulla carta, bloccato da inerzie e resistenze politiche.
Eppure, anche senza quel sogno realizzato, Sirotti contribuì in modo decisivo a portare i prodotti della Calabria sulle tavole d’Europa, distinguendosi per l’alta professionalità e i sistemi di coltivazione moderni.
Pur essendo nato lontano, Luciano Sirotti si sentiva calabrese d’adozione. In questa terra trovò non solo la sua missione professionale, ma anche una seconda famiglia. Il legame con Giuseppe “Peppino” Perri, suo braccio destro e amico fraterno, ne è la prova: tra i due bastava uno sguardo per capirsi.
Quando le forze iniziarono a venir meno, nel 1996 affidò l’azienda ad Agostino Caligiuri, l’unico che riteneva capace di portare avanti lo stesso spirito. Due anni dopo, il 7 ottobre 1998, Sirotti morì a Ferrara all’età di 78 anni, lasciando un vuoto profondo nella comunità della Piana di Sibari.
Luciano Sirotti è stato molto più di un imprenditore agricolo: è stato un educatore, un innovatore, un uomo che ha creduto nel valore delle persone e nella possibilità di far crescere una terra troppo spesso trascurata.
Oggi il suo nome meriterebbe un riconoscimento ufficiale, ma il tributo più autentico resta quello dei suoi tecnici, dei suoi operai, delle braccianti che hanno lavorato al suo fianco. Perché Sirotti non si pose mai al di sopra degli altri, ma sempre accanto.
Ricordarlo significa riconoscere che il progresso non nasce solo dalle idee, ma dalla capacità di condividerle con una comunità. E la Piana di Sibari, ancora oggi, porta il segno indelebile di Luciano Sirotti.
Scrive Luigi Ferrara: “ iniziò le sue prime sperimentazioni su diverse varietà di grano, di cui era un profondo conoscitore. Si ispirava agli studi di Nazareno Strampelli, che avevano rivoluzionato la genetica del grano, ottenendo, durante il periodo fascista, il merito di aver contribuito al successo della famosa “Battaglia del grano”.
E ancora: “Luciano Sirotti: la sua azienda era una vera e propria scuola di formazione sul campo, dove si imparavano le tecniche di potatura e di allevamento delle giovani piante da frutto”.