San Nicola da Crissa: l’antropologo Vito Teti sulla sedia del barbiere Antonio Galati, l’ultimo rimasto nel borgo vibonese
Foto d'epoca e racconti nel salone che oggi è un punto di riferimento per il paese e per chi ha voglia di conoscerne la storia. A cominciare dalla sua, costretto a fare questo lavoro dopo che un mortaio di fuochi d'artificio esplose uccidendo il fratello e altre 4 persone
È una storia lunga, intensa e costellata di ”avventure” quella di Antonio Galati, protagonista della puntata di LaC Storie a cura di Saverio Caracciolo andata in onda ieri su LaC Tv – visibile anche su LaC Play – dal titolo evocativo: Barba, capelli e ricordi. Un racconto che attraversa mezzo secolo e più, tra sogni giovanili, sacrifici familiari ed emigrazione, segnando il cammino di un uomo che, a suo modo, è diventato custode della memoria collettiva. Un ragazzo di San Nicola da Crissa, cresciuto con il desiderio di studiare psicologia. Ma erano anni difficili: non tutti potevano permettersi la scuola, figurarsi l’università. E così, come spesso accadeva allora, Antonio fu mandato a ”imparare il mestiere”, quello del barbiere, che però proprio non gli piaceva, una professione che lo legherà a doppio filo alla sua famiglia, e in particolare al fratello Stefano, anche lui barbiere, che nel 1954 aprì il salone ”Novecento”. Cinque anni dopo, però, la tragedia: durante i festeggiamenti della Madonna del Rosario, un mortaio di fuochi d’artificio esplode e uccide cinque persone. Tra loro c’è Stefano. Da quel momento, a tagliare capelli e barbe resta solo Antonio.
Ma la vita di Antonio è segnata anche da uno dei fenomeni più emblematici del secolo scorso: l’emigrazione. Negli anni Sessanta parte per il Canada, direzione Toronto, dove ad attenderlo c’è il fratello Nicola. Lì, nel quartiere di College Street – meglio noto come ”Little Italy”– inizia a lavorare in un salone gestito da un connazionale. Le giornate sono lunghe, dalle nove del mattino alle sette di sera, e il mestiere si modernizza: nel 1966 acquista la sua prima macchina elettrica per tagliare i capelli, una novità assoluta per lui, oggi conservata gelosamente tra i cimeli di una vita. Il Canada diventa presto una seconda casa.
Antonio, con impegno e determinazione, riesce ad acquistare il salone in cui lavorava, poi ad ampliarlo, fino a gestirne due. Il 1977 è un anno di svolta: decide di far trasferire con sé la madre e la sorella. Ma la salute della madre peggiora e, nonostante l’installazione di un pacemaker, i medici sono chiari: l’unica speranza è riportarla nella sua terra. E così accade. Né Antonio né la sorella sono sposati, per cui – dopo una riunione di famiglia – decidono di tornare tutti insieme in Italia. Appena rientrato, Antonio riapre la barberia a San Nicola. Scopre con sorpresa che, paradossalmente nel suo paese si guadagna di più che in Canada. E decide di restare. Da allora, dal 1977, non ha mai smesso di tagliare capelli e barbe ai suoi compaesani. Il nuovo salone prende il nome da quello fondato da suo fratello: ”Novecento”.
Oggi Antonio ha 83 anni ed è un pensionato. La sua barberia è diventato un punto di ritrovo, un crocevia di storie, un archivio vivente. L’ha ribattezzata ”Ritrovo 900 Stefano Galati”, omaggio al fratello e alla memoria.
Le pareti del salone sono tappezzate di fotografie che raccontano la storia del paese: volti, famiglie, scene di vita quotidiana. Una vera galleria d’immagini «antiche», come le definisce lui, raccolte con pazienza e passione, nel tempo.
Tra gli amici più affezionati che ancora oggi frequentano il suo salone c’è anche l’antropologo Vito Teti, che confessa: «Ogni tanto vengo ancora qui a farmi la barba». E aggiunge, con l’amarezza di chi conosce a fondo le dinamiche del nostro territorio: «Mi impegno con parole, scritti e azioni per far sì che questi piccoli paesi non muoiano, non si svuotino. San Nicola era un paese ricco di artigiani e maestranze. Negli anni ’50 contava cinquemila abitanti, oggi appena mille. Quelli che restano devono resistere. Anche io, quando posso, esco solo per testimoniare una presenza. Spesso è doloroso: capita di non incontrare nessuno, o solo pochi amici. Eppure è necessario. Avremmo bisogno di centri sociali, dalle pizzerie, ai bar, ai circoli. E in questo scenario il salone di Antonio è sempre stato un punto di riferimento: un piccolo museo per immagini, frutto di una raccolta sistematica e appassionata. Antonio fa una grande operazione di memoria. Credo che anche il Comune dovrebbe valorizzarla: perché questi paesi hanno bisogno di trasmettere quello che sono stati, nella speranza che i giovani se ne interessino. E magari qualcuno, un giorno, torni».
Dalla storia di Antonio Galati riaffiorano tutti gli elementi di un’Italia che rischiamo di dimenticare: il lavoro lontano da casa, il ritorno per amore della famiglia, l’impegno silenzioso per custodire la memoria. Antonio, oggi, è molto più di un barbiere: è un testimone autorevole di una comunità, un pezzo di storia che resiste.