Anime nere: il destino nelle asperità dell'aspetto e del territorio
Natura, giustizia e mito dell’Aspromonte nell’opera di Gioacchino Criaco, tra memoria storica e perpetuazione dell’illegalità
«Fuori dai nostri affetti – dichiara il narratore di Anime nere, il romanzo che Gioacchino Criaco dà alle stampe nel 2008 – tutti erano nemici, e sacrificabili». È solo il primo tassello dell'accurata geografia dell'anima aspromontana, tentata dallo scrittore di Africo e fondata sulle distorsioni dei concetti di natura e di giustizia, sul modo in cui la storia ne ha sfumato i limiti, finendo per confonderne il senso.
È proprio lì, in quella distorsione, che delle anime nere viene celebrato il carattere che le rende comuni a quelle di tanti calabresi. Il più dirompente assunto della storia di un manipolo di figli dei boschi è ciò che ne fa somigliare molti aspetti del quotidiano e che consente la «perpetuazione in serie di criminali». Tra persone della stessa risma, sbirri o delinquenti che siano, ci si riconosce, «ci si legge a vicenda l'anima», a prescindere dal modo in cui si è vestiti o dalla cura che si riserva al proprio aspetto. Il destino è segnato da quell'aspetto e puntualmente, alla fine del romanzo, si compie.
A compiersi non sono soltanto le sorti di Kyria, il mitologico nome di uno dei protagonisti, ma quelle di tutti coloro che si sono adeguati a un sistema di malaffare al quale il capitale ha aperto la porta, non riuscendo più a distinguere tra bianco e nero, anzi ritenendo tale indistinzione pienamente funzionale alla sopravvivenza di quel sistema. La vera ecatombe risiede proprio in questa incapacità, anche quando si tenta di risolvere l'impasse cercando e quasi sempre trovando il limite da non valicare in una lama di roccia, nella riva di un fiume, lungo i margini di un bosco così come in una parentela o nella sacralizzazione di un rapporto amicale. Limite che non ha impedito a un'idea confusa di progresso di fare breccia nei desideri di un popolo che, forse, avrebbe preferito determinarsi per conto suo.
E, invece, la definizione dei concetti di natura e giustizia è costretta a seguire le asperità di un territorio che ricalcano le tare dei suoi abitanti. Criaco (poi lo farà anche il regista Francesco Munzi nel film del 2014 liberamente tratto dal romanzo) riesce a denunciare questo stato di cose seguendo con mestiere il modo in cui la disposizione e le azioni aberranti di un gruppo di malviventi si sia normalizzato in un mito, forse, inalterabile.