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12/10/2025 ore 12.01
Opinioni

Fahrenheit 2025: il Nobel della vergogna. Dietro al premio un messaggio agli stati non allineati

Il riconoscimento alla politica venezuelana di estrema destra Maria Corina Machado parla a tutti i Paesi che hanno osato immaginare una via diversa da quella del capitalismo assoluto

di Francesco Viafora
Maria Corina Machado (Foto Ansa)

Premessa. Il Nobel per la Pace doveva essere dato a Donald Trump. È innegabile che, qualsiasi siano gli interessi che lo muovano, i suoi sforzi per una pace vera sono stati notevoli, sia in Ucraina che per Gaza. È proprio per questo che, tra le molte sorprese dell’ultimo Nobel per la Pace, quella che più urta la sensibilità critica di chi conosce davvero chi sia il personaggio, è proprio la scelta del destinatario, scelta che è a tutti gli effetti sconcertante e quanto di più lontano dalla parola pace. Si è scelto di premiare un politico di estrema destra, Maria Corina Machado, i cui deliranti interventi a favore del Likud, il partito neonazista israeliano, ed a favore di Vox, movimento xenofobo e neo-franchista spagnolo, farebbero rivoltare nella tomba il povero Alfredo Nobel.

Ma perché è stata scelta una sconosciuta oppositrice venezuelana? Dove e quali sono stati i meriti di questa persona per la pace? La ragione della scelta è un’altra: la sua posizione di opposizione radicale a un modello alternativo di solidarietà, fondato su principi chiaramente eredi del pensiero di Hugo Chavez, che ha difeso il proprio paese dalle solite politiche predatorie dei colossi economici e finanziari che sono ormai al vertice di ogni decisione strategica. Ma è un copione già scritto, sempre il solito ritornello: non è la prima volta che l’Occidente reagisce con durezza a leader che si sottraggono al copione liberista di gestione delle risorse.

Pensiamo alla fine che ha fatto Salvador Allende in Cile. Pensiamo a Patrice Lumumba nel Congo indipendente. Allende, oggi simbolo di resistenza e sogno socialista latinoamericano, fu abbattuto da un golpe sanguinoso l’11 settembre 1973, supportato, direttamente o indirettamente, da potenze straniere ostili al progetto di nazionalizzazione del rame e di controllo nazionale sulle risorse. Lumumba, con la sua visione di decolonizzazione politica ed economica, fu rimosso brutalmente, eliminato fisicamente e politicamente, in connivenza con attori esterni che videro in lui un nemico della dominazione estrattiva.

Quando un pensiero politico diventa “disturbante” per l’assetto globale del capitale, non basta eliminarne i fautori: bisogna delegittimarlo, bisogna screditarlo a qualsiasi costo ed a qualsiasi mezzo. E così sono nati oppositori “fantoccio”, finanziamenti occulti, pressioni diplomatiche, programmi paralleli di destabilizzazione, si sono creati dittatori che dittatori non sono mai stati.

Questo premio non è solo un riconoscimento individuale. È un messaggio potente, una dichiarazione di guerra ulteriore agli stati non allineati, un messaggio verso i governi, verso le opinioni pubbliche, verso quei paesi che hanno osato immaginare una via diversa da quella del capitalismo assoluto di cui in Italia si vivono ogni giorno le conseguenze in termini di perdita di potere di acquisto dei salari e di distruzione dello stato sociale. Il messaggio che deve passare è che non ci deve essere da nessuna parte del mondo una via di sovranità sociale, di redistribuzione, di cooperazione regionale non mediata dal mercato globale. Il marcato ed il denaro devono essere al di sopra di ogni cosa, anche del governo di ogni stato e di ogni popolazione.

Con il Venezuela, ricchissimo di materie prime, l’Occidente ci prova da un ventennio, caso emblematico è stato il precedente fantoccio eletto a paladino del popolo: Juan Guaidó. Pur mai eletto in un’elezione generale per la presidenza, pur senza storia, senza partito, fu riconosciuto come “presidente ad interim” da molti Stati occidentali, tranne forse dall’Italia, non per scelta politica, ma perché Di Maio non sapeva distinguere il Cile dal Venezuela e lo aveva fatto diventare presidente del Cile. Si scatenò così una disputa geopolitica internazionale: l’opposizione interna, i media internazionali, i blocchi economici, tutto ruotò attorno al mandato esterno e al riconoscimento diplomatico. Intanto Guaidò, che forse aveva compreso che sarebbe finito male, fece una scelta diversa e spese letteralmente, assieme ai suoi uomini, circa 800mila dollari, forse ispirato da Andrea Diprè, a coca e mignotte.

In quel contesto, come in qualsiasi altro precedente ed attuale, la guerra mediatica ha oscurato una verità di fondo. Dietro molti processi di destabilizzazione si celano canali meno visibili: Usaid, Ned e altri enti occidentali che hanno erogato fondi direttamente o indirettamente a movimenti anti-governativi nei paesi latinoamericani. Queste risorse hanno contribuito non solo all’organizzazione politica, ma anche alla cooptazione di settori sociali, campagne mediatiche, manifestazioni e radicalismi opportunisti. Non va poi dimenticato che in molti paesi ricchi di risorse naturali (minerarie, idriche, petrolifere), le imprese straniere e i fondi speculativi hanno cercato di condizionare il governo tramite lobby, media, ong legate alle reti internazionali, anche sostenendo milizie, gruppi religiosi estremisti o sigle ultraconservatrici. Tutto con l’obiettivo di creare un “controllo soft”, un controllo ideologico e infrastrutturale che ha nel mercato e nel denaro la propria origine e la propria fede.