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09/06/2025 ore 15.52
Opinioni

I più felici per la bassa affluenza erano proprio gli sfruttati: mi hanno convinto a non votare ai referendum

La mia astensione è stata un atto di lucidità, di appartenenza intellettuale: ho visto come ragiona chi avrebbe avuto più bisogno di esprimersi. Hanno barattato i diritti per 30 denari, e allora perché dovrei indignarmi al posto loro?

di Francesco Viafora

Tutti lo sapevano: si votava sul lavoro. Un referendum storico”, dicevano. Così importante che ero certo che non avrebbero votato proprio quelli che più ne avrebbero avuto bisogno. Quelli sfruttati, flessibili, a progetto, intermittenti, senza tutele né voce. Gli stessi che applaudono il potere mentre vengono spinti sempre più giù.

All’inizio volevo andarci anch’io a votare. Poi ho letto un post di Facebook di una persona che conosco, super precario, due figli, mantenuto a 50 anni dai genitori, che ha scritto che non votata perché il referendum era del PD; ho letto di persone che non votavano, perché Elly Schlein è lesbica. Ho visto le foto al mare di domenica, una vacanza forzata per fare vedere, magari al proprio capo, che si era ubbidito ai suggerimenti di astensione. Ho visto l’orgoglio dei più marginali con cui esultavano, per la bassa affluenza, di aver fatto fallire il partito di Landini. Beh, neanche io voterei mai PD, però avrei votato con molta convinzione politica un referendum che avrebbe introdotto più tutele per i lavoratori.

Ma visti questi presupposti, questa volta ho fatto qualcosa di più radicale: ho deciso cinicamente di non esserci. È stato un atto di lucidità, di appartenenza intellettuale, perché credo, quando vedo come si comportano con i propri simili o, peggio, con i più deboli, che gli sfruttati, se ragionano così, allora meritano di esserlo. Amano chiamarsi imprenditori di se stessi, fanno i team leader nei call center a 600 euro al mese, si vedono in giro vestiti bene dalla testa ai piedi, entusiasti, proni verso ogni forma di soggiogazione super liberista che ha reso lo sfruttamento, principalmente il loro, accettabile, la precarietà normale, la disuguaglianza una questione di “merito”.

Se gli ultimi si sono abituati a essere ultimi, i penultimi pensano di essere i primi, si sentono cool con i Suv comprati a rate, le pensioni dei genitori e le patate bollite nel piatto fino al 2055. Ecco perché penso che i penultimi meritano di sprofondare, devono sprofondare anche per la loro stupidità, perché hanno accettato come naturali frasi come “se vuoi, puoi”, “crederci sempre arrendersi mai” e “resilienza”.

Slogan tossici, anestetici dell’anima, che giustificano ogni meccanismo di esclusione sociale, trasformando lo sfruttamento in colpa ed il fallimento in vergogna personale, non prendendo mai in considerazione la responsabilità collettiva e le forme di mobbing sociale come un problema strutturale di esclusione. Hanno creduto alla psicologia per curare la povertà con gli psicofarmaci, hanno svenduto il loro futuro ai coach motivazionali ed ai recruiter su LinkedIn, guardando con disprezzo forme di coscienza di classe solidarietà sociale.

Hanno chiamato "libertà" il ricatto, e “opportunità” il licenziamento. Hanno barattato i diritti per 30 denari, la dignità loro e degli altri per qualche promessa motivazionale, la lotta radicale per i lori diritti per una call su Zoom. E ora, improvvisamente, dovrei indignarmi, se non alzano il culo nemmeno per votare? Ma per favore. Oggi nessuno si scandalizza più se lo stipendio arriva in ritardo, se si guadagnano 400 euro netti per 120 ore mensili, se le ferie non vengono concesse, se i buoni pasto spariscono nelle casse della azienda, se le buste paga sono bugiarde come chi le firma.

Neanche i turni massacranti non indignano più, anzi sono diventati “esperienza formativa”. L’ingiustizia non si subisce soltanto: si introietta, si desidera, si sposa. È questa la tragedia degli sfruttati: mentre la corda che li soffoca si stringe al loro collo, banchettano con il boia che li sottomette, dandogli anche l’ultimo tozzo di pane. Proprio per questo il capitalismo di oggi non teme più nulla. Il capitalismo non combatte i suoi nemici: li annienta, li svuota e li premia con uno stage. Non zittisce le critiche: le mette in palinsesto in qualche programma spazzatura. Ha convertito il disagio in storytelling, la fatica in narrazione motivazionale, la miseria in contenuto social. E gli sfruttati come criceti entusiasti, girano in tondo nella ruota, applaudendo ed andando al mare al posto di votare.