Il 2025, l’anno che “non passerà”: dalla politica urlante ai bisogni (ignorati) di chi cerca solo di sopravvivere
Questo anno ci ha lasciato lezioni crudeli. La prima? La politica, quando smette di occuparsi degli uomini concreti, diventa solo teatro
Guerre, ritorni del potere e una verità scomoda. Nel 2025 muore Papa Francesco e torna in scena Donald Trump. I poveri restano poveri, i ricchi sempre più potenti. E noi? Noi cerchiamo ancora di capire se siamo capaci di essere umani.
Ci sono anni che non finiscono davvero. Restano impigliati negli occhi, come polvere nella luce del mattino. Il 2025 è uno di questi anni tristi e feroci, un anno che ci ha costretto a guardarci allo specchio senza trucco, senza il vestito buono delle parole di circostanza. È stato l’anno in cui la politica continuava a litigare mentre la gente comune cercava, in silenzio, di sopravvivere alla normalità della fatica.
Prendete la Calabria. Terra bellissima e crudele, come certe madri che amano e feriscono. Lì, in ottobre, il popolo è tornato alle urne e ha riconfermato il suo presidente. Ma i voti, da soli, non raccontano nulla. Bisognerebbe andare nei paesi che si svuotano, nelle case dove restano solo i vecchi e le televisioni accese. Bisognerebbe contare i ragazzi che partono, i treni lenti, le famiglie che aspettano liste d’attesa interminabili negli ospedali. E intanto, come un animale antico e intelligente, la ’ndrangheta continua a insinuarsi nelle fessure lasciate dalla povertà e dall’assenza dello Stato. La Calabria resiste. Ma resistere è una fatica quotidiana, senza gloria.
In Italia, la commedia è andata avanti come sempre. Politici che parlano di giustizia, di riforme, di identità nazionale, come attori su un palcoscenico che recitano per un pubblico distratto. Fuori dai palazzi, invece, la vita scorreva con la sua brutale semplicità: prezzi alle stelle, famiglie rotte, donne uccise, precarietà, solitudini moderne. E accanto a questa Italia urlata, esiste ancora un’Italia silenziosa fatta di medici, insegnanti, volontari, imprenditori, operai, persone che non fanno notizia ma che tengono in piedi ciò che resta del vivere civile. Loro sono i veri eroi, anche se nessuno li applaude.
Intanto il mondo, questo mondo occidentale stanco e cinico, continuava a produrre guerre come fossero merci. In Ucraina la guerra non è più notizia ma paesaggio. A Gaza la tragedia si è fatta ancora più insopportabile, con i bambini sotto le macerie e i potenti che parlano di tregue come si parla di bilanci economici. Il sangue dei poveri continua a essere la moneta invisibile della storia. Le piazze si riempiono, gli slogan si moltiplicano, ma la pace resta lontana come un’idea irraggiungibile, quasi sospetta.
E come se la storia avesse un gusto perverso per la ripetizione, Donald Trump è tornato in scena. Con il suo sorriso di ferro e la politica trasformata in spettacolo, in slogan, in pericolo egocentrismo planetario. Il mondo lo guarda come si guarda un fenomeno da baraccone: mezzo divertiti, mezzo terrorizzati, ma incapaci di ammettere che, se torna, è perché siamo stati noi a costruire il suo palco. Trump non è l’eccezione. È il sintomo. Il segno di un’epoca in cui la potenza vale più della giustizia, il rumore più della verità.
E su tutto questo, l’Italia e il mondo intero hanno pianto Papa Francesco. Non solo un Papa, ma una voce. Una voce che parlava ai poveri, ai migranti, agli ultimi, e che aveva l’ingenuità scandalosa di ricordarci che l’uomo viene prima dei sistemi, prima dei dogmi, prima delle ideologie. Con lui se n’è andato un padre antico, uno di quelli che non cercano potere ma verità. La sua morte ha lasciato un vuoto che non è solo religioso: è morale. Perché oggi tutti parlano, ma pochi indicano una strada.
Questo anno ci ha lasciato tre lezioni crudeli. La prima: la politica, quando smette di occuparsi degli uomini concreti, diventa solo teatro. La seconda: una società che non riconosce il dolore diventa inevitabilmente feroce. La terza: il mondo non vuole davvero la pace, la evoca, la celebra, ma non la sceglie.
Eppure, dentro questo buio, resta una piccola luce. È la dignità delle persone semplici. Di chi non cede alla volgarità del cinismo. Di chi continua a credere che la verità sia possibile, anche quando fa male.
Il 2025 non è stato solo un anno di notizie. È stato un anno di coscienza. Un anno che ci interroga su ciò che siamo diventati. E mentre il tempo, con il suo passo lento e severo, ci porta verso giorni nuovi, resta una domanda sospesa nell’aria: abbiamo ancora il coraggio di essere umani?
Il resto lo deciderà il futuro, questo giudice senza fretta. Che a volte condanna. A volte assolve. Ma non dimentica mai.