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06/12/2025 ore 10.39
Opinioni

Il potere della nullocrazia

La generazione più connessa di sempre è anche quella più esposta alla trappola della non-critica: l’informazione è a portata di tap, certo, ma proprio per questo non viene più filtrata

di Francesco Perri

C’è un passaggio, in una recente intervista al procuratore Nicola Gratteri, che fotografa con precisione il nostro tempo: «i social sono la piazza in cui l’ignoranza viene esibita e trova la sua ragion d’essere». Una piazza affollata, rumorosa, dove tutto scorre veloce e niente viene davvero compreso. È qui che nasce e prospera il nuovo analfabetismo digitale, non più semplice mancanza di competenze tecniche, ma incapacità – o talvolta mancanza di volontà – di leggere, valutare, interpretare ciò che si incontra online.

La generazione più connessa di sempre è anche quella più esposta alla trappola della non-critica: l’informazione è a portata di tap, certo, ma proprio per questo non viene più filtrata. Tra i giovani, soprattutto, la facilità di accesso si trasforma in superficialità: si consuma contenuto senza chiedersi se sia vero, se sia manipolato, se abbia un senso. Il risultato è una deriva silenziosa, ma già in atto: un’opinione pubblica disarmata, spettatrice di un flusso che inghiotte tutto senza distinguere il veritiero dal menzognero.

E mentre la capacità critica arretra, avanzano i fenomeni-paradosso che raccontano molto più di quanto sembri. Il caso della “tiktoker” napoletana De Crescenzo – personaggio barocco, triviale, assurto a idolo mediatico e ospite dei salotti televisivi – è l’esempio lampante di questa nuova idolatria della disinformazione. Il suo successo non dice nulla su di lei, ma moltissimo su di noi: sulla società che applaude, segue, imita. Sulla fascinazione quasi viscerale verso figure che esibiscono, senza imbarazzo, la propria ignoranza come fosse una medaglia.

È qui che si compie l’omologazione al contrario: non ci si riconosce più in valori, idee, cultura, ma nel grado di distorsione, incompiutezza e banalità dei contenuti. Una sorta di gara al ribasso – ironicamente competitiva – su chi riesce a esibire meglio la propria inconsapevolezza digitale. Per alcuni è frutto di mancanza di strumenti; per altri, è una scelta precisa: restare in quella comfort zone di ignoranza che i social non solo permettono, ma spesso premiano.

Questo è il nuovo analfabetismo: non l’incapacità di leggere, ma l’incapacità di leggere davvero. Non l’assenza di informazione, ma il suo consumo distorto, incompleto, irrisolto. Un analfabetismo che cresce sotto gli occhi di tutti, alimentato da algoritmi, like, visibilità facile e da una piazza virtuale che confonde la popolarità con la verità. E mentre continuiamo a scrollare, forse dovremmo fermarci a chiedere: di quale piazza vogliamo far parte? E soprattutto: siamo davvero disposti a rinunciare alla nostra capacità critica solo perché l’ignoranza, oggi, fa più rumore?