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12/06/2025 ore 18.47
Opinioni

Il vuoto delle urne: il flop del referendum fa vacillare la Repubblica?

Dopo l’ennesimo fallimento referendario, l’Italia si confronta con un silenzio preoccupante: quello di una cittadinanza sempre più disillusa, disinformata e distante. Ma senza partecipazione, la Repubblica rischia di diventare solo un guscio vuoto

di Raffaele Piccolo

C’è un silenzio assordante che aleggia sull’Italia dopo l’ennesimo fallimento referendario. Un silenzio che non è solo politico, ma profondamente civico. Un silenzio che dovrebbe preoccupare tutti, anche coloro che, per noia, disillusione o ignoranza hanno scelto di non votare.

Il dato sull’affluenza è impietoso, ma non sorprendente: ancora una volta, un referendum cade nel vuoto, sommerso dall’indifferenza generale, mentre le istituzioni fingono di non vedere e i cittadini si rifugiano nel cinismo. M possiamo ancora dirci una Repubblica fondata sulla partecipazione democratica?

L’ultimo referendum, in teoria strumento principe della democrazia diretta, si è trasformato in un funerale civile. Le urne sono rimaste vuote, i dibattiti inesistenti, l’informazione scarsa o polarizzata, le motivazioni opache, le scelte derubricate a dettagli tecnici. Non importa nemmeno, ormai, il contenuto del quesito: ciò che colpisce è la progressiva disaffezione, il disarmo intellettuale e morale di un Paese che sembra aver rinunciato a se stesso

A questo punto, la domanda s’impone: di chi è la colpa? Dell’Italia o degli italiani? La risposta è dolorosa, ma necessaria. Non possiamo continuare a incolpare solo la politica, i partiti, i media. È troppo comodo. Gli italiani sono corresponsabili.

Ogni assenza alle urne è una rinuncia consapevole, ogni scelta “di pancia” è una ferita alla razionalità collettiva. Viviamo immersi in una cultura dell’alibi, dove tutto è colpa di qualcun altro, dove la sfiducia diventa un comodo scudo per l’inazione. Ma la democrazia è come un muscolo: se non la eserciti, si atrofizza.

La crisi è strutturale, e riguarda il patto fondamentale che tiene insieme la nostra Repubblica. Lo scollamento tra istituzioni e cittadini è ormai cronico. Le riforme costituzionali vengono proposte con leggerezza, senza costruire consenso vero, senza spiegare, senza ascoltare. Il referendum diventa l’ultima spiaggia per chi vuole opporsi o affermarsi, e non più uno strumento di riflessione collettiva. Così facendo, svuotiamo di senso anche la Carta su cui si fonda il nostro vivere comune.

Ma l’allarme più grave è un altro: la democrazia si sta trasformando in una finzione rituale. Partecipiamo sempre meno, comprendiamo sempre meno, discutiamo sempre meno. In questo clima, cresce lo spazio per l’autoritarismo soft, per la gestione tecnocratica del potere, per un decisionismo che si maschera da efficienza. Se il popolo non decide, qualcun altro deciderà al suo posto. E quando succederà – quando succede – non ci sarà nemmeno bisogno di violare la Costituzione: basterà interpretarla secondo convenienza.

Il rischio è che ci svegliamo un giorno e scopriamo che la Repubblica democratica non esiste più, sostituita da una forma vuota, una scatola istituzionale che conserva l’apparenza ma ha perso l’anima. Perché la democrazia non è un dato acquisito, è un processo fragile, che richiede impegno, conoscenza, fatica. È un’opera collettiva, e come tale può anche fallire.

È allora giunto il momento di assumerci le nostre responsabilità. Non basta indignarsi, né cullarsi in nostalgie di tempi migliori. Serve una nuova educazione civica, una rinascita culturale, un patto generazionale che rimetta al centro la partecipazione consapevole. Serve uno sforzo di verità: l’Italia non potrà mai cambiare se gli italiani non cambiano.

Altrimenti, continueremo a perdere pezzi della nostra democrazia, un referendum alla volta. E allora sì, non sarà più solo colpa dell’Italia, ma degli italiani. Tutti.