Sezioni
Edizioni locali
31/03/2025 ore 15.52
Opinioni

In Paese in cui la politica è in crisi, non ci può essere una “folla” di statisti

Con le istituzioni di democrazia rappresentativa deboli sono gli arrangiatori senza pathos i protagonisti. Così prevale la vocazione ad essere gregari di interessi altrui 

di Mario Tassone

Da giorni non riesco a darmi una risposta a una domanda. Seguendo sugli organi di informazione le notizie su Trump, la guerra tra Russia e Ucraina, i magmi incandescenti mediorientali e dell’Africa occupano in grandissima parte i servizi della carta stampata e della televisione, con i relativi approfondimenti, mentre lo spazio ai temi prettamente nazionali è ridotto.
Certo, le vicende internazionali riguardano ovviamente noi per riflessi politici ed economici e i temi sulla occupazione, sui servizi essenziali, sulle tasse sono trascurati.
Anzi, negli ultimi tempi finalmente si parla del caro bollette energie, definito da qualche commentatore «un furto di stato ai danni dei cittadini». Del resto nulla.
Se non ci fossero stati il ciclone Trump e i conflitti ormai su larga scala, allora le altre questioni prettamente di casa nostra avrebbero avuto l’attenzione del passato?
Penso proprio di no, perché manca una elaborazione culturale e politica. L’attenzione, infatti, è rapita dalle vicende internazionali.

I problemi antichi, allora, sono stati risolti? Credo proprio di no.
Vi sono “nascondimenti” assurdi accompagnati da una continua inesorabile decadenza della qualità del dibattito.
Quel poco che la informazione riporta dei capi delle tribù che hanno sostituito i partiti sono le simpatie espresse chi per Trump o per Putin (ci si dimentica della Cina e degli altri paesi emergenti).
In verità tra Biden e lo zar russo le differenze erano marcate, oggi meno tra Trump e Putin e quindi tra i rispettivi fans ci sono avvicinamenti.
Ci sono quelli che stanno con l’Europa e altri no; qui il gioco si fa pesante. La Meloni cerca di ingraziarsi Trump, dando giudizi positivi alle posizioni del vicepresidente statunitense Vance e di Musk, ma non si allontana dalla presidente della Commissione e cerca di costruire ponti tra Trump e l’Europa.
Nello stesso governo ci sono, in politica estera, posizioni opposte con Salvini che dice che l’Europa non esiste mentre Tajani filo europeista è costretto a ricordare, anche a sé stesso, che è ministro degli Esteri.

Ma quello che colpisce è la povertà del dibattito che risente dell’assenza della politica e dal Parlamento che ha perso centralità. Leggiamo solo battute dei vari capi non progetti a confronto. Una opposizione loquace impegnata a produrre slogan e non idee. Prevale la vocazione ad essere gregari di interessi altrui.

I dibattiti sulla politica estera che nel passato coinvolgevano anche le sezioni dei partiti sparse sul territorio, le organizzazioni sociali e culturali, sono un ricordo.
La politica estera serviva per affrontare problemi vitali anche per lo sviluppo. Si andavano manifestando propositi e strategie.
Era il prestigio di chi governava un Paese democratico in costante crescita. Con le istituzioni di democrazia rappresentativa deboli sono gli arrangiatori senza pathos i protagonisti.
In uno Stato dove la politica è in crisi, non ci può essere una “folla” di statisti !