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26/12/2025 ore 10.30
Opinioni

Intelligenza artificiale a scuola: quando il sapere rischia di diventare un algoritmo

L’adozione dell’IA nelle aule italiane minaccia la libertà di insegnamento, riduce gli studenti a “clienti” e trasforma l’apprendimento in un processo commerciale e predittivo

di Carlo Crippa

Oggi nella scuola italiana si vive uno sconcertante paradosso, quello secondo cui, stando a quello che dicono gli “esperti” del ministero, la “personalizzazione” degli apprendimenti e della didattica si dovrebbe realizzare attraverso l’adozione dell’Intelligenza Artificiale.

In realtà l’adozione dell’Intelligenza Artificiale implica uno scivolamento, più o meno consapevole, dal piano educativo a quello commerciale, con gli annunci mirati tipo “social”, solo che in questo caso gli annunci non riguardano merci più o meno gradite al potenziale “cliente” ma contenuti ed apprendimenti “personalizzati” per lo studente, che di fatto viene ridotto a “cliente”, per giunta dalla scelta obbligata, perché apprendimenti e contenuti sono selezionati dall’Intelligenza Artificiale, la cui natura algoritmica viene spacciata per “produttrice” di elementi conoscitivi “oggettivi” che non possono essere messi in discussione. In questo discorso, sia come sia, la classe, che dovrebbe essere un microcosmo sociale e non un assemblaggio di individualità, scompare.

La funzione precipua della scuola è però quella di stimolare la “scoperta” del sapere. Ebbene, con l’Intelligenza Artificiale questo è impossibile, perché non ci può essere “scoperta” attraverso una macchina e qualsiasi macchina conosce solo quello che è programmata a conoscere e non può fornire risposte su qualcosa di cui, a differenza dell’intelligenza umana, non può nemmeno sospettare l’esistenza. Insomma l’Intelligenza Artificiale non può rispondere a quello che l’intelligenza umana le chiede, perché non ne ha reale conoscenza se non per tentativi, spesso maldestri, di associazione logica ed a nessuno si può chiedere quello che non conosce. Qualsiasi elemento di creatività è dunque escluso da questo strumento. Come si è detto, l’Intelligenza Artificiale è come una “bolla” social, che conferma sempre le convinzioni, giuste o sbagliate, i pregiudizi e gli stereotipi di tutti e, nello stesso tempo, diminuisce la libertà degli agenti a favore di quella degli automi.

Gert Biesta, filosofo olandese dell’educazione autore di Riscoprire l’insegnamento (Milano, 2022), che critica l’insegnamento-come-controllo a favore dell’apprendimento-come-libertà, ci ricorda che gli studenti non devono semplicemente imparare e basta, ma devono imparare liberamente qualcosa piuttosto che qualcos’altro, per uno scopo funzionale piuttosto che per un altro, ma soprattutto lo devono imparare da qualcuno e non da qualcosa.
Allo stesso modo Stefano Borroni Barale, autore del saggio L’intelligenza inesistente (Altreconomia, Milano, 2023) aggiunge: “Non si può lasciare l’alunno solo di fronte ad una macchina che tira ad indovinare” e che, aggiungo di mio, in genere non ci imbrocca.
I cosiddetti “esperti” chiamano “allucinazioni” i frequentissimi errori dell’Intelligenza Artificiale, ma il termine è fuorviante, perché il sistema dell’Intelligenza Artificiale non può funzionare - o meglio, disfunzionare - che così, cioè a vuoto. Ma c’è chi vuole che trasformare questo vuoto nella realtà.

I dirigenti del ministero dell’istruzione e del cosiddetto “merito” giurano però che non vogliono fare utilizzare l’Intelligenza Artificiale come “fonte” di sapere o, peggio, come strumento di “elaborazione” orale o scritta e sostengono che questo strumento sia invece un “tutor” per l’apprendimento “personalizzato”, ma anche questo non è vero. Quest’anno infatti il Massachusetts Institute of Technology ha ammesso che il 95 per cento dei suoi progetti “vettore” che prevedevano l’uso dell’Intelligenza Artificiale è fallito.
La legge del governo Meloni che introduce l’Intelligenza Artificiale nelle scuole getta un’ombra sinistra, o forse letteralmente “destra”, sul futuro della scuola italiana ed evoca uno scenario inquietante, nel quale l’insegnamento potrebbe essere non solo automatizzato ma addirittura “automizzato” in via definitiva. C’è da sperare quindi che questa legge, come tante altre leggi italiane, con il tempo da dannosa diventi inutile, perché in realtà inapplicabile sul piano didattico e soprattutto educativo.

Nell’ultimo decennio, ma forse anche da prima, abbiamo assistito ad un costante, crescente e preoccupante processo di colonizzazione commerciale della scuola ed è ancora più preoccupante che questa colonizzazione venga accolta con un atteggiamento generalizzato di rassegnazione e di ineludibilità da buona parte degli insegnanti italiani, in genere svegli su molte altre questioni.

La pura e semplice verità è che l’Intelligenza Artificiale è una macchina con funzione predittiva di proprietà privata, molto privata, che niente può avere a che fare con qualsiasi attività scolastica e che, per giunta, di “intelligente” non ha nulla, ma proprio nulla.
E’ dunque ora, per gli insegnanti come categoria, di rigettare questa falsa “sperimentazione” del ministero con l’assistenza dell’INVALSI, perché l’Intelligenza Artificiale, con le sue riduzioni semplicistiche, suggerisce un paradigma sociale di segno, se non fascista, certamente autoritario e discriminatorio, anzi un “ordine nuovo” di tipo algoritmico, che è, in effetti, una forma di apartheid culturale e sociale.

La tecnologia dell’Intelligenza Artificiale è proprietà privata, privatissima, di una manciata di miliardari e sostituisce il vero apprendimento ed il vero insegnamento, che sono per loro natura elementi di soggettività sociale, in una fredda atomizzazione individuale senza anima né cuore. Essa costituisce perciò una minaccia esistenziale per una scuola che da sempre, nel bene e nel male, pratica la comunicazione umana come base di ogni attività didattica e di apprendimento.
Gli insegnanti di questo nostro paese da sempre malgovernato, che sono in primo luogo educatori, non possono, o almeno non dovrebbero, assistere passivamente alla “soluzione finale” della questione scuola da parte di una cricca che non rappresenta che i più biechi interessi privati e dovrebbero invece rifiutarsi di “addestrare” i propri studenti a diventare schiavi mansueti.

L’adozione dell’Intelligenza Artificiale, che il ministero vuole imporre alla scuola italiana, non è solo un attacco alla libertà di insegnamento, sancito dall’articolo 33 della Costituzione, ma è qualcosa che lavora a vantaggio solo di chi la possiede. La scuola, come ha già detto qualcuno, non è una mensa in cui si devono consumare i “pasti pronti” del complesso industriale ed anche militare, ma una cucina in cui si assapora quel particolare cibo per la mente che è il sapere. E, per fortuna, la maggioranza dei nostri insegnanti sa ancora cucinare.