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18/07/2025 ore 21.59
Opinioni

Jure Vetere e la scoperta della fornace per la fusione delle campane

Il protocenobio di Fiore fu riportato alla luce da una campagna di scavi archeologici condotta sotto la direzione scientifica del professor Cosimo Damiano Fonseca e il coordinamento degli archeologi Francesca Sogliani e Dimitris Roubis

di Giuseppe Riccardo Succurro
Il protocenobio di Fiore a Jure Vetere, nel riquadro l'allora sindaco Riccardo Succurro con il mattone fondativo

A Jure Vetere, "inter frigidissimas alpes", Gioacchino da Fiore costruì la Domus Mater del nuovo ordine monastico da lui fondato. La campagna di scavi archeologici condotta sotto la direzione scientifica del prof. Cosimo Damiano Fonseca, direttore del Comitato scientifico del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, ed il coordinamento degli archeologi Francesca Sogliani e Dimitris Roubis, in collaborazione con la Soprintendenza e con l'ausilio dell'amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore, ha consentito (subito dopo il 2000) il rinvenimento del protocenobio di Fiore.

Durante i lavori assistetti ad un ritrovamento di grande suggestione: una fornace per la fusione delle campane. La fossa fusoria presenta una forma circolare con un diametro di 1,50 m e con una profondità di circa 0,70 m. Un documento del 1216 testimonia la consegna da parte dell'abate Matteo di due campane al monastero di Calabro Maria. Tra i luoghi entro i quali si dipanò la complessa esperienza religiosa di Gioacchino da Fiore, assume uno spiccato rilievo Jure Vetere, non solo per essere stata la prima fondazione dell'Abate calabrese, dopo l'abbandono della originaria vocazione cistercense, ma anche per le connotazioni ambientali del sito che conciliavano il rigore ascetico ed il nuovo status, tanto ricercati da Gioacchino tra le «frigidissimas alpes» silane.

Nella biografia composta nei primi anni dopo la morte di Gioacchino da Fiore e certamente entro il 1209, la "Vita del Beato Abate Gioacchino", l'Anonimo monaco florense così descrisse la scelta di Jure Vetere da parte di Gioacchino avvenuta nell'autunno del 1188:
«...Volle pertanto salire sui monti della Sila e cercare un luogo tra queste montagne freddissime, in cui potessero in qualunque modo abitare.… Si diresse verso il luogo in cui Fiore confina con il fiume Arvo, nel tratto in cui sono circondati da alti monti. Il luogo piacque ai suoi compagni…  Allora tornarono a Petra, che dicono Lata». Nella primavera del 1189 «mentre regnava Guglielmo II e dappertutto era diffusa la pace, partirono di nuovo da Petra e si ritirarono fra le montagne in Fiore... affinché in Nazareth fosse annunciato il nuovo frutto dello Spirito Santo, fino a che, a partire da quel luogo, il Signore operasse la massima salvezza su tutta la terra». Ebbe inizio un «intenso esodo, mentre uomini in ogni modo provenienti alla solitudine di Fiore popolavano il luogo».

Dopo la morte di Guglielmo II, i camerari della valle del Crati cominciarono a molestare i monaci e Gioacchino andò a Palermo per incontrare il re normanno Tancredi che gli offerse il monastero benedettino della Matina. Gioacchino rifiutò argomentando la scelta delle «gelide selve e delle asprezze dei monti, una terra remota dai piaceri della città… Il re tese la mano e, indotto dall'argomentazione della pia richiesta e dall'autorità del richiedente, concesse» il possesso di alcune terre demaniali circostanti al nuovo insediamento monastico e cinquanta salme di segale all'anno.

A Jure Vetere Gioacchino da Fiore costruì la Domus Mater del nuovo ordine monastico da lui fondato. Il 25 agosto del 1196 il pontefice Celestino III scrisse a Gioacchino da Fiore per notificargli l'approvazione, data oralmente in concistoro, delle Istituzioni del nuovo ordine: «Trovandoti alla nostra presenza, o figlio abate, hai esposto con le tue presentazioni le istituzioni riguardo alla vita dei monaci e dei monasteri sottoposti al tuo cenobio». Il tempo intercorso fra il primo insediamento di Fiore e l'approvazione del papa è rapido a riprova della stima di cui l'Abate godeva da parte di Celestino III.

La campagna di scavi archeologici ha consentito il rinvenimento del protocenobio distrutto da un incendio nel 1214. L'edificio è a coro rettangolare con direzione sacra (est-ovest), definito da una navata centrale lunga circa 26 m e larga 8,10 m. L'abate Matteo, dopo l' incendio, cercò di ricostruire il tempio florense ridimensionando la chiesa con un'abside semicircolare. Nel 1215 desistette però dall'idea di continuare a ricostruire il protocenobio di Jure Vetere ed ottenuta l'autorizzazione da papa Innocenzo III a costruire una nuova sede in un altro luogo meno freddo, eresse l'attuale complesso abbaziale nella località "Faradomus" o "Faraclonus" , probabilmente ampliando e consolidando la preesistente fabbrica monastica avviata da Gioacchino nel 1195 dopo la concessione del vastissimo Tenimentum Floris da parte dell'imperatore svevo Enrico VI, marito di Costanza d'Altavilla e padre di Federico II. "In Flore iuditia tua cognoscuntur" divenne il motto dell'Ordine florense spiegato da Gioacchino nella Concordia del Nuovo e dell'Antico Testamento: «Ascendi con lo stesso angelo sul monte grande e alto, e allora potrai conoscere i profondi disegni che sono nascosti fin dai tempi più antichi per generazioni di secoli».