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23/11/2025 ore 17.36
Opinioni

La famiglia del bosco: il caso che divide l’Italia tra libertà di scelta e intervento dello Stato

L’allontanamento dei tre figli di Catherine e Nathan, che vivono in autosufficienza nei boschi abruzzesi, accende lo scontro politico e culturale su educazione, tutela dei minori e diritto a uno stile di vita alternativo

di Francesco Perri

Potrebbe sembrare l’incipit di un romanzo - una famiglia che vive immersa nella natura in una casa isolata tra i boschi - ma la storia è invece del tutto reale. Negli ultimi giorni è diventata uno dei casi più discussi del Paese. Protagonisti sono Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, che hanno scelto uno stile di vita autosufficiente, lontano dalla città, crescendo i loro tre figli, una bambina di otto anni e due gemelli di sei, nella quiete del bosco in provincia di Chieti in Abruzzo, tra istruzione parentale, pannelli solari e lavoro quotidiano con gli animali.

La loro vita è stata travolta dalla decisione del tribunale per i minorenni de L’Aquila: i bambini sono stati allontanati e trasferiti con la madre in una struttura protetta, mentre il padre è rimasto solo nella casa nel bosco. Sconvolto e agitato, Nathan denuncia alla stampa l’assurdità del provvedimento: «Viviamo su un pianeta malato, pieno di violenza e droga… Noi diamo ai nostri figli quello di cui hanno bisogno, lontano dalla tossicità della vita moderna. Se non cambia nulla, Catherine potrebbe tornare in Australia con i bambini, e io resterei qui con i nostri animali».

La vicenda è al centro di un acceso dibattito politico nazionale: il vicepremier Matteo Salvini ha parlato di “ingiustizia”, mentre altri difendono la valutazione dei servizi sociali. Anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che valuterà il caso in risposta alle pressioni politiche e dell’opinione pubblica. Sui social si è diffusa una domanda ricorrente: perché intervenire così duramente su una famiglia che sceglie di vivere a contatto con la natura quando, secondo molti cittadini, esistono situazioni di degrado e pericolo ben più gravi che restano senza risposta? È un sentimento collettivo fatto di percezioni, confronti e polemiche che non sempre coincidono con le valutazioni tecniche, ma racconta bene il clima infuocato che questa vicenda continua a generare.

Questa storia offre anche uno spunto di riflessione più ampio. Lo stile di vita di Catherine e Nathan non è un caso isolato: sempre più persone scelgono di lasciare il caos cittadino per trasferirsi nei borghi più isolati, anche in Calabria, attratti dalla possibilità di vivere immersi nella natura e di riscoprire una vita più lenta, autentica e autonoma. Questi borghi, spesso minacciati dallo spopolamento, possono trovare nuova vita grazie a chi decide di vivere in solitudine o in piccole comunità, contribuendo alla rinascita sociale e culturale di realtà che rischiano di svuotarsi.

Non è ancora chiaro se e quando i bambini potranno tornare a vivere con i genitori, e la sentenza definitiva non è stata emessa. Ma la battaglia legale di Catherine e Nathan, più che personale, diventa ora una battaglia anche culturale: rappresenta il confronto tra libertà educativa e intervento dello Stato, tra uno stile di vita alternativo e il rispetto delle regole imposte dallasocietà contemporanea.