La poesia politica come atto sovversivo: perché più della spada il potere teme la parola libera
Mentre i governi mutavano volto e promessa e le piazze si gonfiavano di speranze, disinganni e proteste, una schiera di poeti, soprattutto del Sud, ha levato il canto come invettiva, grido civile e necessità di testimonianza
La poesia politica ha mutato forma e cadenza. Le voci che si alzarono nel XX secolo, erano atti di resistenza e cultura. Esse ci ricordano che la parola, quando s’incendia di verità, si fortifica davanti ai governi e prosegue incessante senza compromessi e senza pieghe.
Nel Sud d’Italia, dove la fame e la dignità si sono a lungo fronteggiate come eserciti nemici, la poesia ha saputo parlare con una franchezza che la politica teme: quella dell’anima che grida i suoi intenti e la sua etica.
La parola e la letteratura come soluzione alla politica italiana del Mezzogiorno negli ultimi decenni. La poesia italiana ha assunto, in talune anime indomite, la forma d’un vessillo di dissenso. Nessun lirismo effimero, né vezzo erudito: ma parola fendente, lama sottile che scortica le menzogne e i decori ipocriti del potere. Mentre i governi mutavano volto e promessa, e le piazze si gonfiavano di speranze, disinganni e proteste, una schiera di poeti — soprattutto del Sud, terra di strappi e fedeltà viscerali — ha levato il canto come invettiva, come grido civile e necessità di testimonianza.
La poesia politica, quando autentica, diventa atto sovversivo. Essa denuncia, dilania, rovescia i simulacri del potere costituito. Se la politica istituzionale spesso si è nutrita di retoriche vacue, alcuni poeti hanno opposto al verbo ingannevole dell’autorità la purezza di un linguaggio scabro, ferito e implacabile, dove fonetica e semantica si mescolano.
Ignazio Buttitta: il cantore del popolo offeso
Nessuno come Buttitta — voce ardente della Sicilia profonda — seppe dare dignità letteraria all’ira e alla fame dei contadini. Nella sua poesia il dialetto è l’arma contundente contro il potere che umilia. Egli scagliò versi come pietre, narrando di padroni e soprusi, di lotte contadine e speranze tradite. Nei suoi testi, la rabbia popolare è nuda e ruvida.
“…
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi n’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialetto
ca perdi na corda lu jornu.”
Ignazio Buttitta
Rocco Scotellaro: il poeta-sindaco dell’anima contadina
Lucano, figlio della terra, Scotellaro si fece voce di chi voce non aveva. Nei suoi versi si respira la polvere dei campi, ma anche l’ardore politico di un Sud marginalizzato e dimentico di sé. La sua poesia insorge. Scotellaro, che fu anche sindaco, seppe incarnare nella parola la protesta civile, intrecciando tenerezza e collera, speranza e disincanto.
“Sentite furie: alberghi e panifici
e padroni che muovete questa ruota
orrenda che ci stride sulle carni,
ditte, navigatori, capitani sentite:
eccovela la testa del mercenario
accalappiata nel vostro frustone.”
Rocco Scotellaro
Franco Fortini: l’intellettuale implacabile
Fortini va ricordato quale voce imprescindibile della poesia civile e politica. La sua lingua colta e severa è ragionamento e fuoco, intelligenza corrosiva che scardina le ipocrisie istituzionali. Le sue invettive contro l’opportunismo e il servilismo restano una lama ancora lucida nel tempo presente.
“Ma anche per rivivere e lavorare
e disperare per rivivere
morire per lavorare
disperare per morire
lavorare per rivivere.”
Franco Fortini
Edoardo Sanguineti: il suo atto politico
Nella frattura linguistica di Sanguineti si cela un gesto radicale: disfare la lingua per disfare il potere. La sua scrittura, spigolosa e stratificata. Egli comprese che la struttura stessa del linguaggio è politica e che sovvertirla significa smascherare la teatralità corrotta del potere.
“Siamo tutti politici (e animali):
premesso questo, posso dirti che
odio i politici odiosi: (e ti risparmio anche soltanto un parco abbozzo di catalogo
esemplificativo e ragionato): (puoi sceglierti da te cognomi e nomi, e sparare
nel mucchio): (e sceglierti i perché, caso per caso)
ma, per semplificare, ti aggiungo che, se è vero che,
per me (come dico e ridico) è politica tutto,
a questo mondo, non è poi tutto, invece, la politica: (e questo mi definisce,
sempre per me, i politici odiosi, e il mio perché:
amo, così, quella grande politica
che è viva nei gesti della vita quotidiana, nelle parole quotidiane
(come ciao, pane, fica, grazie mille): (come quelle che ti trovi graffite dentro i cessi,
spraiate sopra i muri, tra uno slogan e un altro, abbasso, viva):
(e poi, lo so che non si dice, ma, alla fine, mi sono odiosi e uomini e animali)”.
Edoardo Sanguinetti
Così, nell’eco dei loro versi, s’avverte un monito severo che ogni potere teme più la parola libera che la spada, poiché la spada ferisce i corpi, ma il verso insorge contro l’oblio. Pur nate in un tempo passato, queste poesie, risuonano oggi con rinnovata potenza, come se la loro voce attraversasse i decenni per illuminare l’istante presente.